EVENTI INTERRELIGIOSI

LUGLIO – AGOSTO 2019

21 luglio 2019.  Cristiani e musulmani, buddisti e baha’i, membri di organizzazioni indigene, ecumeniche e interreligiose si sono riuniti in Cile per formare una alleanza spirituale, organizzando iniziative in concomitanza con il vertice delle Nazioni Unite sul clima (COP25) che si terrà a Santiago dal 2 al 13 dicembre 2019. Fra i partecipanti all’incontro, il pastore Izani Bruch, Vescovo della Chiesa evangelica luterana del Cile e Felípe Sepúlveda della Chiesa luterana in Cile, che hanno firmato l’alleanza interreligiosa e spirituale per il Climate Compact. L’accordo afferma che “le disuguaglianze e le ingiustizie generate o peggiorate dalla crisi ambientale fanno sì che tutte le persone di fede lavorino per la trasformazione, in base alle tradizioni religiose e spirituali di ciascuna chiesa o comunità”. I firmatari si sono impegnati a organizzare spazi di incontro, culti, meditazioni, celebrazioni e altre attività, prima e durante la COP25. Prevista anche una veglia preparatoria interreligiosa, il 1° settembre, Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato, che sancisce l’inizio del periodo liturgico Tempo del creato.

Pranita Biswasi, segretaria giovanile della Federazione luterana mondiale, farà parte della delegazione alla COP25 di Santiago. Accogliendo con favore la notizia della nuova alleanza interreligiosa, ha osservato che “i disastri causati dal cambiamento climatico stanno colpendo il nostro genere umano, indipendentemente dalla nostra fede”. Stanno “sfidando la nostra casa comune nei diversi contesti nazionali e regionali in cui vivono e lavorano le nostre comunità. Siamo ansiosi di sostenere le attività di questa iniziativa interreligiosa nei prossimi mesi”.

30 luglio 2019. Giovani ebrei e musulmani di Roma hanno testimoniato che la pace è già realtà nel cuore dei giovani. “Ci sono spazi silenziosi nelle città  – è stato evidenziato – dove l’incontro è possibile e i pregiudizi cadono come foglie al vento perché si combattono con il confronto diretto e la conoscenza reciproca”. L’Unione dei giovani ebrei italiani (UGEI) ha accolto una delegazione di giovani musulmani dell’Istituto Tevere (di nazionalità algerina, turca e albanese) per una visita guidata al Museo ebraico e alla Sinagoga di Roma. E’ stata un’occasione per “approfondire la storia e la cultura ebraica e rafforzare il percorso di reciproca conoscenza intrapreso insieme. Con l’augurio di incontrarci ancora – hanno affermato –  e ribadire la centralità del dialogo interreligioso”.  I ragazzi musulmani sono entrati nel Tempio Maggiore indossando il copricapo in segno di rispetto. I ragazzi ebrei li hanno accolti prima nel Museo ebraico dove si sono ripercorsi gli anni bui delle leggi razziali e della Shoah, poi in Sinagoga per un momento di contemplazione e preghiera, ciascuno secondo le proprie tradizioni e nel rispetto del luogo sacro.

In una nota dell’UGEI è stato sottolineato che l’incontro costituisce un piccolo segno della voglia che i ragazzi hanno dentro di abbattere le barriere. L’incontro infatti “è stato occasione per approfondire la storia e la cultura ebraica e rafforzare il percorso di reciproca conoscenza intrapreso insieme. Con l’augurio di incontrarci ancora – ha auspicato l’UGEI – e ribadire la centralità del dialogo interreligioso”. Cenap Aydin, giovane direttore dell’Istituto Tevere, ha affermato che l’iniziativa è il frutto di “una amicizia nata da tempo e fondata sul comune impegno per il dialogo interreligioso”. Il 27 gennaio, il Giorno della Memoria, l’Istituto Tevere aveva ospitato nei suoi locali un gruppo di giovani dell’UGEI per un evento di commemorazione, insieme a Religions for Peace e alla Fondazione Scholas Occurrentes. Poi, durante il mese del Ramadan, i giovani ebrei erano stati invitati a condividere con i giovani musulmani il pasto di rottura del digiuno, Iftar e in quella occasione l’Istituto Tevere ha predisposto un menù interamente kosher. “Se ci si conosce veramente e ci si rispetta, possiamo creare spazi – ha affermato Cenap Aydin –  e momenti condivisi in cui possiamo interagire, dare una testimonianza insieme di convivenza pacifica, in un tempo in cui il dialogo tra ebrei e musulmani è spesso vincolato da problemi politici e in cui sta diventando sempre più urgente dimostrare che le differenze religiose non ci dividono”.

Ad accogliere i giovani musulmani e guidarli nei locali del Museo e della Sinagoga c’era anche la presidente dell’UGEI, Keren Perugia. I giovani sono stati condotti per mano lungo la storia e il presente della ‘gente del Libro’, alla conoscenza della Torah e del popolo di Israele, “ricco di profeti scelti da Dio per illuminare la storia”. Nel Tempio Maggiore hanno ripercorso  la prima storica visita di Giovanni Paolo II, e poi quelle di papa Benedetto XVI e due anni fa di papa Francesco. “Vogliamo camminare sulle loro orme – hanno affermato i giovani – per creare vie di riconciliazione e di pace”. E’ una generazione nuova, infatti, che sta nascendo. “Siamo feri – hanno detto – di essere cittadini italiani e vogliamo offrire al nostro Paese un esempio, piccolo ma significativo, di dialogo possibile e di incontro autentico. Vogliamo dire che le nostre fedi ci incoraggiano ad incontrarci, a collaborare insieme, a lavorare per il bene comune. Le nostre appartenenze religiose e le nostre diversità non sono ostacoli che impediscono la pace e fomentano la violenza. Al contrario, come diceva il cardinale Tauran, sono la soluzione ai problemi della storia di oggi”. Ruben Spizzichino, vice presidente dei giovani ebrei italiani, ha parlato del principio di Tikkum Olam insito nella tradizione ebraica: “E’ il principio della riparazione del mondo, dell’essere presenti nella storia dell’umanità per svolgere un’opera benevola e correggere per quanto umanamente possibile leingiustizie. La conoscenza reciproca fa parte di questa riparazione per generare una società fraterna, un mondo dove non c’è spazio per i pregiudizi. Siamo consapevoli dell’importanza del dialogo e siamo consapevoli che senza un confronto diretto ed una conoscenza sincera non ci possa essere rispetto”.



2 agosto 2019. La Fondazione interreligiosa per la pace in Africa (IFAP) ha manifestato pubblicamente la sua intenzione di partecipare attivamente alla promozione della pace e della coesione sociale prima, durante e dopo le elezioni presidenziali e politiche, che si terranno nel 2020 in Costa d’Avorio. A tal fine si è svolta una cerimonia presso la moschea del Plateau Salam, al fine di coinvolgere cristiani, musulmani e i fedeli di altri confessioni o credi religiosi per lavorare per un clima pacifico e rispettoso per la vita umana. L’ambasciatore della pace dell’IFAP, l’Imam Cisse Djiguiba, rettore della Moschea di Salam Plateau e portavoce del COSIM, il Consiglio superiore degli imam della Costa d’Avorio, ha invitato tutte le fasce della popolazione, in particolare le guide religiose, ad essere veri promotori della pace e della coesione sociale in questi mesi che precedono le elezioni del 2020. In Costa d’Avorio si è diffusa una psicosi preelettorale per il timore di violenze e gravi incidenti in occasione del voto, al punto che a gennaio il Presidente Alassane Ouattara ha voluto rassicurare la popolazione, affermando che “le elezioni del 2020 andranno molto bene, quindi smettiamola di spaventarci! Sono fiducioso. Sento molta preoccupazione al riguardo. Se le elezioni del 2015 sono andate bene, perché non dovrebbero andare bene anche quelle del 2020? Mi fido degli ivoriani, mi fido delle nostre istituzioni”. In Costa d’Avorio rimane viva la memoria della crisi post-elettorale 2010-2011, che ha causato oltre 3.000 vittime. A questo si aggiungono le tensioni derivanti dalla modifica della Costituzione, a seguito del referendum del 30 ottobre 2016, che permette al Presidente Ouattara, di potere presentarsi alle elezioni per ottenere un terzo mandato. Una possibilità che ha suscitato la forte opposizione del suo ex alleato, ora divenuto feroce avversario, l’ex Presidente Henri Konan Bedié.

10 agosto 2019. Tisha Beav 5779 è stato celebrato l’11 agosto (la vigilia il 10 agosto).
Il 9 del mese di Av nel calendario ebraico cade la giornata di lutto Tisha Beav. E’ uno dei maggiori digiuni del giudaismo – ha evidenziato Rav Alberto Sermoneta –  dopo quello di Yom Kippur. Non è un giorno di espiazione come Yom Kippur, ma un giorno di lutto. Alcuni hanno detto che Tisha Beav era il giorno più triste della storia ebraica. Il 9 di Av dell’anno 586 dell’era cristiana, Nabucodonosor II marciò su Gerusalemme e distrusse la città e il primo Tempio, cacciando parte del popolo ebraico in Babilonia. Il 9 di Av, 656 anni più tardi, Tito distrusse il secondo Tempio, bruciò Gerusalemme e cacciò gli ebrei fuori dalla Palestina. Il 9 Av è per questa ragione considerata l’inizio dei due esili. Il digiuno dura 25 ore dal tramonto del sole all’apparizione delle prime tre stelle il giorno successivo. Come a Yom Kippur, si osserva un digiuno completo, niente cibo e neppure bibite. Quest’anno il 9 di Av è caduto di shabbat è quindi il digiuno è stato posticipato al giorno dopo. I ventuno giorni (che trascorrono dal digiuno del 17 Tamuz), sono chiamati ben ha mezzarim (fra le strettoie), in quanto essi culminano con il digiuno del 9 di Av, considerato dal popolo ebraico il culmine del lutto.

Durante questi giorni è proibito fare cose gioiose, ad esempio, soprattutto contrarre matrimoni. Il lutto però è progressivo in modo graduale. Anche questa giornata ricorda cinque avvenimenti tristi della storia del  popolo ebraico, ha puntualizzato rav Sermoneta. Si fa riferimento al racconto del Libro dei Numeri, secondo cui fu mandata una spedizione di dodici esploratori a ispezionare la Terra di Israele; essi tornarono riportandone le sue caratteristiche. Dieci di essi, all’infuori di Giosuè e Calev, dissero al popolo che quella era una terra abitata da giganti e, mai e poi mai, sarebbero riusciti ad espugnare gli abitanti ed a conquistare la Terra. La reazione che questo resoconto portò al popolo, fu quella di piangere ed accusare Mosè e l’Eterno di averli portati fin lì e non aver mantenuto la promessa. Ciò portò al decreto divino, che tutta la generazione dell’uscita dall’Egitto, non sarebbe entrata in quella terra; poiché avevano pianto per una cosa futile, per l’eternità, il popolo in quella data (il 9 di Av), avrebbe pianto per qualcosa di molto grave. Altra disgrazia accaduta in quel giorno fu la caduta di Betar, città nei pressi di Gerusalemme, abitata dai Cohanim, i quali furono tutti barbaramente uccisi ai tempi della rivolta di Bar Chocvà.

Tisha Be Av è, dunque, un giorno di lutto e riflessione per commemorare soprattutto la distruzione del Tempio di Gerusalemme, che  riassume in sé la memoria di tutte le esperienze più tragiche della storia ebraica, dalle più antiche alle più recenti. “Secondo una lettura dei nostri Maestri, il digiuno – ha affermato Noemi Di Segni presidente delle Comunità ebraiche d’Italia – non serve solo a ricordare quello che è stato, ma anche a pregare perché non si ripeta. Ricordiamo quindi la distruzione nel corso dei secoli perché ci sia da insegnamento nel nostro presente. Ed è con questa consapevolezza che dobbiamo ricordare oggi una delle pagine più tragiche del Novecento italiano: la strage di Sant’Anna di Stazzema di cui ricorre in queste ore il 75esimo anniversario e in cui 560 persone, di cui 130 bambini, persero la vita per mano della ferocia nazista. Uno dei primi a recarsi a Sant’Anna appena dopo la strage fu rav Elio Toaff, allora combattente che vide quell’orrore, già immenso ed infinito, senza ancor apprendere quanto avveniva nei campi di sterminio. Una ferita lacerante nella nostra memoria nazionale, a lungo caduta sotto silenzio, ma che è nostro dovere morale ricordare. Sta ora al nostro impegno e alle nostre responsabilità, personali e collettive, rafforzare nei tempi nuovi la cultura della vita, la pace tra uomini e popoli liberi, la solidarietà necessaria per dar vita a uno sviluppo davvero condiviso e sostenibile”, come ha ricordato con lungimiranza il Capo dello Stato Sergio Mattarella. “Questa data  – ha proseguito Noemi Di Segni – di memoria civile, così come accade per Tisha Be Av, ci ricorda che la distruzione non è mai definitiva. Non lo è se abbiamo la forza di ricostruire, di rialzarci nonostante il dolore, di rammentare a noi stessi e agli altri che condivisione e solidarietà sono la risposta a chi vuole distruggere i nostri legami sociali. In questo giorno, come ebrei italiani, condividiamo  – ha continuato il dolore per coloro che abbiamo perduto e ribadiamo il nostro impegno quotidiano a difesa della cultura della vita”.

11 agosto 2019. Oltre due milioni si musulmani si sono recati alla Mecca, in Arabia Saudita, per l’annuale pellegrinaggio (Hajj). Il rito religioso, che deve essere compiuto nell’ultimo mese del calendario lunare islamico, si è concluso il 14 agosto. Il pellegrinaggio alla Mecca è il quinto pilastro dell’islam e ogni musulmano deve compierlo almeno una volta nella vita. Renzo Guolo, docente di Sociologia delle religioni all’Università di Padova  ha evidenziato che esso ha  “una funzione molto rilevante, dal punto di vista sociale oltre che religioso, in qualche modo materializza l’unità della comunità musulmana, la umma, che è dispersa in ogni angolo del mondo”. Per i musulmani, ritrovarsi tutti insieme a compiere determinati riti significa affermare l’unità dei credenti e la comunità di fede e eliminare anche le differenze sociali. Non è un caso, ad esempio, che quest’anno il re dell’Arabia Saudita abbia invitato anche le persone coinvolte nell’attentato di Christchurch in Nuova Zelanda, proprio per far comprendere  – è stato evidenziato – come i musulmani sono ovunque nel mondo e si ritrovano in una comunità di fede di questo tipo. Ha, quindi, un significato sociale e un significato religioso, visto che il pellegrinaggio è uno dei cinque pilastri dell’islam, cioè uno degli obblighi di fede dei credenti musulmani. La festa del sacrificio ricorda il gesto di Abramo e sostanzialmente la festa mostra come i musulmani si associno a questa azione solenne; ha anche la funzione di ribadire l’appartenenza dell’Islam a una comune radice abramitica. Per i pellegrini la partecipazione implica l’abbandono delle vesti abituali per unificarsi in un abbigliamento comune, rappresentato dalla veste bianca, ed è come se il credente così si spogliasse di tutto. Difficilmente, quindi, si possono tollerare gli smartphone, che rappresentano forme di distrazione da ogni dimensione di partecipazione e dall’elemento di misticità che la pratica rituale comporta.

20 agosto 2019. A Lindau in Germania si è svolta la decima assemblea mondiale di Religions for Peace. L’organizzazione, presieduta nella sezione italiana da Luigi De Salvia, è stata impegnata in quattro giornate di lavoro a cui hanno partecipato 800 persone, sia rappresentanti religiosi che di governo, di ong e personalità a diverso titolo coinvolte nella sfida del dialogo e della costruzione di progetti condivisi.
Il tema di questa edizione, Prendersi cura del nostro futuro comune, ha fatto emergere la consapevolezza che è bene tenersi alla larga da visioni sincretistiche, valorizzando piuttosto la specificità di cui ogni religione è portatrice. “Ogni tradizione religiosa – si legge nel testo che è stato consegnato ai partecipanti – ha una visione positiva della pace radicata nella rispettiva esperienza del sacro. Ogni visione positiva della pace è un invito a manifestare la propria dignità umana e ad ‘accogliere’ la dignità dell’altro”.
L’evento ha offerto l’opportunità alle maggiori organizzazioni religiose di incontrarsi, costruire alleanze e stabilire iniziative rilevanti per la collaborazione, come il rafforzamento della cooperazione multi-religiosa per la pace tra leader religiosi, attraverso i consigli interreligiosi nazionali e continentali e il sostegno alla cooperazione multi-religiosa in paesi oppressi da violenza e conflitti, la costruzione di un rapporto più stretto e proficuo con leader autorevoli del mondo islamico. Sono state approfondite specifiche iniziative, in particolare per la Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan, Nord e Sud Corea, Myanmar.

20 agosto 2019. È stato istituito ad Abu Dhabi un Comitato superiore per l’attuazione del Documento sulla Fratellanza Umana, firmato lo scorso febbraio negli Emirati Arabi Uniti da Papa Francesco e dal Grande imam di Al-Azhar, Ahmed Al-Tayeb. Del Comitato fanno parte il vescovo Miguel Ángel Ayuso Guixot, presidente del Pontificio consiglio per il Dialogo interreligioso; il professor Mohamed Hussein Mahrasawi, rettore dell’Università di Al-Azhar; monsignor Yoannis Lahzi Gaid, segretario personale di Papa Francesco; il giudice Mohamed Mahmoud Abdel Salam, consigliere del Grande imam; Mohamed Khalifa Al Mubarak, presidente del Dipartimento della Cultura e del Turismo, Abu Dhabi; Sultan Faisal Al Rumaithi, segretario generale del Consiglio musulmano degli Anziani; e Yasser Hareb Al Muhairi, scrittore e personaggio dei media degli Emirati Arabi Uniti. Sua altezza Sheikh Mohamed bin Zayed Al Nahyan, principe ereditario di Abu Dhabi e vice comandante supremo delle Forze armate degli Emirati Arabi Uniti, ha affermato che l’istituzione del Comitato aiuterà ad attuare la visione condivisa di sviluppare iniziative e idee volte a promuovere la tolleranza, la cooperazione e la convivenza. Gli Emirati Arabi Uniti sostengono tutti gli sforzi tesi a promuovere la pace e diffondere i principi della fratellanza e della pacifica convivenza in tutto il mondo, ha dichiarato il principe ereditario. Il Comitato ha il compito di sviluppare un quadro per assicurare la realizzazione degli obiettivi del Documento sulla Fratellanza Umana, preparando i progetti necessari per implementare il documento. Seguirà poi l’attuazione a livello regionale e internazionale e il Comitato incontrerà leader religiosi, capi di organizzazioni internazionali e altri per sostenere e difendere l’idea che è alla base dello storico documento. Il Comitato superiore solleciterà anche le autorità legislative ad aderire ai provvedimenti del documento nella legislazione nazionale, al fine di istillare i valori del rispetto reciproco e della coesistenza. Supervisionerà, inoltre, la Abrahamic Family House (il museo memoriale della storica visita del Papa e del Grande imam di Al Azhar ad Abu Dhabi). Il Comitato, di comune accordo, potrà coinvolgere nuovi membri.

20 agosto 2019. La Scuola fiorentina per l’educazione al dialogo interreligioso e interculturale, durante la 40esima edizione del Rimini Meeting  ha conferito l’attestato di merito Figli di Abramo a Sheikh Dr. Mohammad Alissa, Segretario Generale della Lega Musulmana Mondiale e a Rav Dr. Marc Schneier, Presidente della Foundation for Ethnic Understanding. La cerimonia si è svolta alla presenza del Sindaco di Rimini, Andrea Gnassi, il quale ha in seguito omaggiato i premiati con la Medaglia celebrativa per il bimillenario dell’Arco di Augusto, prestigioso premio della Città. L’attestato Figli di Abramo è stato conferito dalla Scuola Fiorentina di Dialogo ai leader spirituali e ai cittadini di diverse fedi che dedicano la loro vita alla promozione della comprensione e collaborazione tra gruppi religiosi, alla costruzione della solidarietà e vicinanza umana. La Scuola fiorentina ha conferito il premio allo Sheikh Dr. Mohammad Alissa e al Rabbino Dr. Marc Schneier, in quanto ha riconosciuto nella loro azione spirituale, volta a superare le divisioni tra i popoli e proiettata verso la comprensione per il dialogo e la pace a livello globale, la più alta manifestazione degli ideali fondanti del premio Figli di Abramo. Il Presidente della Scuola fiorentina di dialogo, Rav Levi, ha posto l’accento sugli sforzi di entrambi i premiati per promuovere la pace e creare ponti tra culture e religioni differenti a livello globale. In particolare, ha fatto riferimento sia alla Dichiarazione di La Mecca, sottoscritta dal Segretario Generale della Lega Islamica Mondiale, in cui si afferma il dialogo come strumento di incontro, sia  all’incontro tenutosi a fine luglio a Colombo, la National Conference on Peace, Harmony, and Coexistence, una conferenza interreligiosa che ha visto la partecipazione del Presidente dello Sri Lanka e promossa dalla Lega Musulmana Mondiale. Nel conferire l’attestato al Rabbino Schneier, il Presidente della Scuola fiorentina ha sottolineato l’intenso e pionieristico lavoro del Rabbino di New York, il quale, da più di un decennio, è attivo per promuovere le relazioni tra musulmani ed ebrei a livello globale, facendo particolare riferimento alla stagione dei gemellaggi tra ebrei e musulmani della sua Fondazione in Europa e alla serie di eventi che hanno coinvolto attivisti e rappresentanti di alto livello del Parlamento Europeo e del Consiglio d’Europa, che hanno avuto un grande impatto in Europa.

20 agosto 2019. Una speciale preghiera per i fratelli musulmani del Kashmir è stata organizzata dal Comitato di solidarietà ecumenica di Lahore, di cui fanno parte leader cristiani pakistani di varie confessioni, appartenenti alla Chiesa cattolica, Chiesa anglicana, Chiesa presbiteriana, Esercito della Salvezza. La preghiera è stata accompagnata da un appello di pace per la tormentata regione del Kashmir, ancora al centro di forti tensioni tra India e Pakistan. L’incontro ha avuto un carattere interreligioso per la partecipazione di leader musulmani pakistani invitati per l’occasione, ed è stato guidato dal francescano p. Francis Nadeem OFM Cap, segretario della Commissione per il dialogo ecumenico e interreligioso nella Conferenza episcopale del Pakistan. I leader religiosi hanno espresso con forte determinazione il loro impegno a sostenere i fratelli kashmiri nel loro movimento per la dignità, la giustizia e la libertà, ricordando tutti coloro che, provenienti da quella regione, hanno dato un contributo per l’indipendenza del Pakistan. L’assemblea ha pregato per la pace e l’armonia tra Pakistan e India e ha insistito, lanciando un accorato appello, perché “la controversia politica tra India e Pakistan sia risolta attraverso il dialogo, senza ricorso alle armi e  con la prospettiva di una reale e durevole pacificazione”. Alla fine dell’incontro, i leader hanno rilasciato simbolicamente colombe bianche che sono volate in cielo con la speranza, hanno detto, “che questo messaggio di pace giunga ai confini indo-pakistani e possa incoraggiare la riconciliazione”.

22 agosto 2019 . Si è celebrata la giornata internazionale in memoria delle vittime di atti di violenza basati sulla religione o sul credo, in base alla risoluzione del 28 maggio 2019 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite . E’ stata condannata fermamente la violenza e gli atti di terrorismo in nome della religione o delle convinzioni personali, nei confronti di appartenenti a diverse religioni, comprese quelle di minoranza. “In questo giorno, riaffermiamo – ha sottolineato il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Gutierres – il nostro sostegno incrollabile alle vittime di violenza basata sulla religione e sulle convinzioni personali. E dimostriamo tale sostegno facendo tutto il possibile per prevenire tali attacchi e chiedendo che i responsabili siano perseguiti” . Gli Stati membri hanno riaffermato la loro inequivocabile condanna di tutti gli atti, i metodi e le pratiche terroristiche ed estremiste violente in tutte le forme e manifestazioni, ovunque e da chiunque siano commessi, indipendentemente dalla motivazione. Hanno ribadito, inoltre, che terrorismo ed estremismo violento non possono e non devono essere associati ad alcuna religione, nazionalità, civiltà o gruppo etnico. Sul sito delle Nazioni Unite è stato scritto: “Il dibattito aperto, costruttivo e rispettoso delle idee, il dialogo interreligioso e interculturale, a livello locale, nazionale, regionale e internazionale, possono svolgere un ruolo positivo nella lotta contro l’odio religioso, l’incitamento e la violenza” . La libertà di religione o di credo, la libertà di opinione e di espressione, il diritto di riunione pacifica e il diritto alla libertà di associazione sono “interdipendenti, correlati e si rafforzano a vicenda e sono sanciti dagli articoli 18, 19 e 20 della Dichiarazione universale dei diritti umani. Il rispetto di questi diritti svolge un ruolo importante nella lotta contro ogni forma di intolleranza e di discriminazione basata sulla religione o sul credo. L’esercizio del diritto alla libertà di opinione e di espressione e il pieno rispetto della libertà di cercare, ricevere e trasmettere informazioni possono svolgere “un ruolo positivo nel rafforzamento della democrazia e nella lotta contro l’intolleranza religiosa”.

22 agosto 2019. Per il terzo anno consecutivo giovani cristiani e musulmani si sono radunati a Taizé, in Francia, per un incontro all’insegna del dialogo interreligioso, da giovedì 22 a domenica 25 agosto. Si è  discusso in particolare dell’importanza e dell’originalità del Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune firmato da Papa Francesco e dal Grande imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, il 4 febbraio scorso ad Abu Dhabi. Il testo è stato presentato da un imam di Parigi, Mohamed-Soyir Bajrafil, e da un sacerdote di Lione, padre Christian Delorme, incaricato del dialogo interreligioso nella sua diocesi. Alle relazioni ha fatto seguito un dibattito e un tempo di condivisione. Secondo tema dell’incontro è stato l’ospitalità, con  un dibattito animato da un imam della banlieue parigina, Mohamed Bachir Ould Sass, e da padre Christophe Roucou, già direttore del servizio nazionale per le relazioni interreligiose, organismo in seno alla Conferenza episcopale francese.

di Lucia Antinucci

Event on “Interfaith harmony: Implementing the transformative Agenda of the Sustainable Development Goals” (co-organized by the United Nations Alliance of Civilizations (UNAOC) and the Committee of Religious NGOs)

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