Il cibo e l’arte

La nuova tappa del  forum del Centro studi francescani per il dialogo interreligioso e le culture ha avuto come tema ‘Il cibo nell’arte . Una lettura contemporanea’, realizzata con competenza e verve dall’architetto Filippo Suppa. Egli ha puntualizzato alcuni passaggi particolarmente rilevanti dell’evoluzione storica, attraverso la lettura di alcune opere importanti, dipinti o affreschi, per far emerge il valore culturale, sociologico, filosofico e teologico del cibo.

Egli è partito da un accenno dei graffiti preistorici con la rappresentazione di animale sulla roccia, che aveva un valore magico, propiziatorio e apotropaico per la buona riuscita della caccia. Nel mondo romano il cibo aveva solo un significato nutrizionale – ha sottolineato l’architetto -, come emerge dai mosaici della casa del Fauno a Pompei. Nel Medio Evo, invece, il cibo assume anche un significato simbolico, oltre a quello sociologico, che registra le contraddizioni della società del tempo, il divario tra i ricchi e i poveri. L’arte attesta come venivano apparecchiate le tavole: con la saliera che rappresentava la ricchezza, l’abbondanza, i tovaglioli, due coltelli e il pane. Le forchette non venivano usate perché viste con diffidenza dalla Chiesa, in quanto evocatrici del forcone satanico. Sono state introdotte, invece, da Caterina de’ Medici, consorte di Enrico II re di Francia.

L’architetto Suppa si è poi soffermato sulla lettura dell’Ultima cena di Leonardo da Vinci (1494-1498) – che si discosta dallo schema tradizionale del tempo – un dipinto parietale ottenuto con una tecnica mista a secco su intonaco (460×880 cm), conservato nell’ex-refettorio rinascimentale del convento adiacente al santuario di Santa Maria delle Grazie a Milano. L’affresco, su intonaco asciutto con pittura grassa, ha una costruzione piramidale e dà molta importanza alla gestualità dei personaggi. Al centro di vi è Gesù, il Maestro, che profetizza il tradimento. Ad un lato di Gesù vi è Pietro e dall’altro lato Giuda, il traditore. Pietro ha in mano il coltello perché l’artista intende richiamare il fatto che, secondo il racconto della Passione, ha tagliato l’orecchio a Malco, servo del sommo sacerdote, Leonardo anticipa con tale rappresentazione l’arresto di Gesù (cf. Gv 18,10). Giuda si avvicina al Maestro e fa cadere il sale sul tavolo poiché Cristo ha profetizzato il tradimento. In questa scena ha importanza il particolare del sale, perché richiama il fatto che gli apostoli sono il sale della terra (cf. Mt 5,13) in quanto annunciatori del Vangelo. I personaggi raffigurati sono in preda all’agitazione per l’annuncio del Maestro, infatti il clima emotivo si raffredda con la lontananza dal Messia. Il pane simboleggia il corpo di Cristo e il vino il sangue di Cristo per l’istituzione dell’eucarestia. Secondo l’interpretazione laica, il pane evoca l’onestà, l’abbondanza, la pazienza, la bontà.

L’architetto si è poi soffermato sul Mangiafagioli di Annibale Carracci (1584). Si rifà al classicismo naturalistico opponendosi al manierismo. Il personaggio è di condizione sociale modesta, in quanto indossa un cappello di paglia, mangia con avidità ed è chiaramente sorpreso dalla comparsa dell’osservatore, come dimostrano lo sguardo attonito e la sospensione del gesto di portarsi il cucchiaio alla bocca, che rimane spalancata, mentre alcune gocce della zuppa ricadono nella scodella.

E’ stata poi la volta della lettura del Canestro di frutta del Caravaggio, Michelangelo Merisi, (olio su tela del 1594-1598, periodo giovanile). Il dipinto, commissionato dal cardinale Francesco Maria del Monte per il dal cardinale Borromeo, arcivescovo di Milano che in quel periodo si trovava a Roma, raffigura una cesta di vimini (fiscella) con mele, uva, fichi, pere. La natura morta ha vari significati semantici, con forte simbolismo teologico. “L’opera mostra una canestra definita con precisione analitica e quasi fiamminga negli incastri del vimini, all’interno della quale ci sono frutti e foglie di ogni genere. La natura morta è assunta a soggetto protagonista, tanto quanto lo sarebbe stato un eroe della mitologia in un quadro di storia. Il canestro sporge impercettibilmente in avanti nel suo tangibile realismo tridimensionale (che si contrappone allo sfondo bidimensionale), come fosse in una situazione precaria, creando un colpo d’occhio che attrae lo spettatore moderno nell’immediato: questa tendenza, così come la presentazione di frutti bacati o intaccati dalle malattie, simboleggia la ‘vanitas’ dell’esistenza umana, ovvero il richiamo alla caducità della vita, un bene effimero destinato a svanire nel tempo. Si tratta in realtà di un sipario decontestualizzato, quasi sottratto dal suo reale contesto naturale; anche il realismo è soltanto apparente, poiché sono rappresentati insieme frutti di stagioni diverse, destando nello spettatore la sensazione di una inedita circolarità, affine forse al rispecchiamento di un umile desco da nascita, astrologico. Il cesto di vimini è rappresentato come se si trovasse in alto rispetto allo sguardo di un ipotetico spettatore, come se fosse posto su di una tavola da cui dà l’impressione di sporgere lievemente. La scelta di questo taglio permette alla composizione di far emergere la natura morta attraverso l’uso di uno sfondo chiaro, uniforme e luminoso; la luce sembra provenire da una fonte naturale e svela le gradazioni di colore che differenziano gli acini chiari, acerbi in primo piano e quelli già molto maturi nel grappolo posto dietro la mela bacata (che simboleggia la precarietà delle cose e il trascorrere del tempo), creando un effetto illusionistico di tridimensionalità dell’immagine in considerazione di uno spazio chiaramente bidimensionale (tavolo e parete). La frutta diventa la protagonista del quadro e acquista un significato ambiguo: ora fresca e fragrante ora florida e matura, fragile al punto da essere subito intaccata, è ripresa in una cornice di foglie, argentee e rinsecchite, metafora puramente esistenziale e, forse, geografica colta e cristologica, da cui estrapolare relazioni mediterranee”. L’architetto Suppa ha illustrato la lettura teologica del dipinto, da mettersi in relazione all’autorevole prelato che lo ha commissionato. La frutta fresca simboleggia la Chiesa, la mela bacata evoca il racconto del peccato originale (cf. Gn 3,1-6). La cesta che sporge in avanti simboleggia la missione della Chiesa a servizio dell’umanità.

L’architetto Suppa è passato poi alla lettura dei Mangiatori di patate dell’olandese Vincent van Gogh (1885), precursore dell’espressionismo. I volti dei personaggi sono abbruttiti dalla sofferenza, con fisionomia rocciosa e quasi deforme, e consumano il pasto in una capanna. Le patate erano il cibo dei poveri. Anche se c’è la lampada al olio, la luce che illumina l’ambiente proviene dal pasto frugale, dalle patate. L’artista, che proveniva da una famiglia benestante, decise a 32 anni di rappresentare la vita dei poveri contadini dell’Olanda che subivano lo sfruttamento da parte dei padroni. Probabilmente fu determinante in questa sua scelta l’attività di predicatore protestante professata dal padre. Una delle contadine sedute al tavolo è Gordina de Groot che compare in un celebre ritratto. Il pittore raffigura nel dipinto una bambina di spalle per esprimere il fatto che gli altri le raccomandano di non trovarsi nelle loro condizioni ma di avere una vita migliore.

L’uomo che mangia gli spaghetti di Guttuso (1956), espressione della pittura neorealista italiana quale corrente artistica che riferendosi ideologicamente nella forma e nel contenuto al realismo socialista, si riproponeva la creazione nella pittura di espressioni artistiche aderenti alla realtà e comprensibili alle classi popolari, in particolare riferimento alla sua terra (Bagheria – Vucciria). Il pittore siciliano è stato definito esponente del realismo socialista, militante del partito comunista. L’architetto ha evidenziato che il dipinto è in penombra e il  rosso richiama l’ ideologia politica seguita dal pittore. L’opera si ispira al padre dell’artista, che di ritorno dal mare chiudeva le tende e scacciava le mosche, per sedersi nella penombra e gustarsi un piatto di spaghetti al pomodoro.

L’architetto Suppa ha concluso la sua lettura estetica del cibo soffermandosi sul Barattolo di zuppa Campbell’s Soup Cans, anche conosciuta come 32 Campbell’s Soup Cans, è un’opera d’arte realizzata con la tecnica della serigrafia nel 1962 da Andy Warhol, esponente della Pop Art. Tale tecnica consiste in un procedimento di stampa nel quale l’inchiostratura viene eseguita attraverso la trama di un tessuto di seta. L’architetto Suppa ha messo in risalto che l’immagine del dipinto è statica e in essa domina il barattolo con la sua  marca. L’intento dell’artista è di contestare la staticità della società consumistica strumentalizzata da un business calcolato dell’industria. .

Il dibattito ha evidenziato le criticità del consumismo, il suo forte condizionamento sociale attraverso la pubblicità (persuasore occulto).

di Lucia Antinucci

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