Fraternità e Shoah

LA VICENDA DI ETTY HILLESUM

Nonostante il dolore la vita è bella[1]. Etty Hillesum non parla di fraternità, ma di amore universale, amore anche per il nemico, superamento dell’odio.  L’amore universale ha una dimensione interreligiosa, perché da ebrea ha apprezzato molto la filosofia e spiritualità cristiana, particolarmente di sant’Agostino ed anche del buddhismo. La breve vita di Etty è stata inizialmente molto disorientata, problematica anche trasgressiva e soffriva di depressione. Poi c’è stata una graduale evoluzione fino ad arrivare all’altruismo nel Campo di lavoro (sarà una sua scelta andarvi, poiché poteva salvarsi, ma volle seguire il destino del suo popolo) e alla spiritualità (ebraica, cristiana e agostiniana e buddhista) quasi mistica.

Iter biografico di Etty – Etty Hillesum è una giovane ebrea olandese, intellettuale che si è confrontata in modo personale con la realtà del dolore e dell’odio. Ester era nata il 15 gennaio 1914 a Middelbur, dove insegnava lingue classiche. Quando gli Hillesum si stabilirono a Deventer, nell’Olanda orientale, il padre divenne preside del Ginnasio Municipale. Egli era uno studioso rinomato. La moglie, di origine russa, era molto diversa da lui, caotica e passionale, per cui il matrimonio non fu sereno. Il rapporto di Etty con la madre era piuttosto conflittuale, come emerge dal Diario (1941-1943, Adelphi) e la situazione cambiò solo durante la dura prova del campo di lavoro [Qui Etty si ritroverà con la madre, con il padre ammalato e il fratello Misha, molto fragile emotivamente. Nel Campo avrà una cura premurosa per entrambi i genitori, nonostante i disagi da affrontare e i gravosi compiti a lei affidati]. Sia Etty che i fratelli Misha e Jaap erano molto intelligenti e particolarmente dotati. Misha era un musicista geniale, considerato uno dei più promettenti pianisti d’Europa. Jaap divenne medico e già a diciassette anni scoprì un nuovo tipo di vitamina. Etty amava la filosofia; si laureò in giurisprudenza ad Amsterdam e poi s’iscrisse alla Facoltà di Lingue Slave. Poco prima della guerra si era stabilita ad Amsterdam presso la casa di Han Wegerif, un vedovo di sessantadue anni che aveva un figlio di ventuno anni. Etty aveva il compito di occuparsi della casa, in cambio dell’ospitalità. Nacque presto una relazione tra Etty ed Han, che ella nel Diario chiama Pa Han. In tale casa viveva anche l’infermiera Maria Tuinzing, che divenne molto amica della Hillesum.  Etty comincia il Diario la domenica del 9 marzo 1941, in cui fa una spietata autoanalisi, qualche mese dopo aver conosciuto l’uomo che sarebbe diventato il centro della sua vita.  Si tratta di Julius Spier, il fondatore della Psicochirologia, un ebreo emigrato da Berlino, nato a Francoforte il 25 aprile 1887. Egli era stato direttore di banca, aveva fondato una casa editrice e coltivava da sempre l’interesse per la lettura della mano. Spier si trasferì a Zurigo per fare il training analitico con Carl Gustav Jung. Fu proprio Jung a convincerlo a trasformare la psicochirologia in una vera professione. Nel 1939 raggiunse la sorella nei Paesi Bassi ed i suoi figli rimasero con la madre in Germania, che non era ebrea e da cui aveva divorziato nel 1935. Era un uomo che aveva carisma, molto ammirato dai suoi discepoli e particolarmente dalle donne, a cui non era indifferente a causa della sua condotta trasgressiva. E’ stato Spier a guidare la Hillesum, confusa e depressa, nella scoperta degli autentici valori umani fondati sull’altruismo. Julius aiuta Etty anche nella scoperta di se stessa  e nella tensione verso il divino, attraverso una profonda esperienza personale. Spier indirizza la Hillesum verso una religiosità libera dagli steccati dei dogmi e delle tradizioni. Spier aveva una relazione con tutte le sue pazienti e motivava questo suo comportamento come rigorosa psicoterapia, basata sull’integrazione di corpo ed anima, e iniziava con una ‘lotta’ tra medico e paziente. Etty lottò contro se stessa ma invano e divenne dipendente psicologicamente dal suo medico. Con il tempo riuscì a sentirsi libera da questo rapporto, quando nel secondo soggiorno al Campo si dedicò esclusivamente ad aiutare gli altri e la sua spiritualità si rafforzò sempre più[2]. Nel Diario l’ebrea olandese, inizialmente fa riferimento solo a vicende personali, anche se sullo sfondo c’è la guerra e ci sono i nazisti. Nel 1941 a Amsterdam ci fu il primo sciopero anti-pogrom della storia europea ed i nazisti inasprirono la repressione contro gli ebrei; vennero creati dapprima i ghetti e poi i campi di lavoro. Nel 1942 iniziarono le deportazioni di massa. Gli ebrei venivano trasferiti a Westerbork, nella zona orientale dei Paesi Bassi. Si trattava di un campo di smistamento, ultima tappa prima di Auschvitz. Il 15 luglio 1942  Etty trova lavoro presso una delle sezioni del Consiglio Ebraico. Esso era costituito da venti ebrei di elevata condizione sociale, con diversi funzionari alle loro dipendenze. Questa organizzazione, voluta dai tedeschi, faceva da cuscinetto fra gli ebrei e i nazisti.

Umanitarismo universale e tensione mistica – Nonostante la situazione personale molto problematica e confusa, l’ebrea olandese non rimase indifferente alla situazione storica e alle tragedie dell’umanità: “Mi sento piuttosto – ella scrive – come un piccolo campo di battaglia su cui si combattono i problemi, o almeno alcuni problemi del nostro tempo. L’unica cosa che si può fare è offrirsi umilmente come campo di battaglia”[3]. Etty vive in sé il contrasto tra il sentimento di universalità e un forte bisogno di ritornare in se stessa, nella propria intimità psicologica, in quanto il carico del dolore dell’umanità, che fa suo, le causa uno sfinimento fisico. Tra questi due aspetti della vita secondo la Hillesum, ci deve essere integrazione: “Dobbiamo poter ricuperare i nostri stretti confini – ella scrive – e continuamente dentro di essi – scrupolosamente e coscienziosamente – la nostra vita limitata, mentre quei momenti di contatto quasi ‘impersonali’ con tutta l’umanità ci rendono ogni volta più maturi e profondi”[4]. La giovane olandese avverte in sé il contrasto tra l’amore (fraterno) universale e l’amore particolare per un uomo e osserva che, se le donne non si sono particolarmente affermate nel campo della scienza e dell’arte, è perché concentrano il loro amore e la loro creatività su un solo uomo[5]. Sempre nel contesto della sua dialettica psicologica, la lotta tra sentimenti contrastanti, la Hillesum scrive: “Le cose veramente primordiali in me sono i sentimenti umani, una sorta di amore e compassione elementari che provo per le persone, per tutte le persone”[6]. Nonostante nel suo cuore ci sia posta per tutta l’umanità, la giovane olandese prova anche una grande solitudine: “Sola Dio mio. E’ dura. Perché il mondo è inospitale. Ho un cuore molto appassionato, ma mai per una persona sola: per tutte le persone. E’ un cuore molto ricco, io credo”[7]. L’amore universale che la Hillesum avverte in sé la porta a prendere le distanze dall’odio ed a cercare di capire perché si verificano le atrocità: “Tutti questi orrori non sono come un pericolo misterioso e lontano al di fuori di noi, ma che si trovano vicinissimi e nascono dentro di noi. E perciò sono molto più familiari e assai meno terrificanti. Quel che fa paura è il fatto che certi sistemi possono crescere al punto da superare gli uomini e da tenerli stretti in una morsa diabolica, gli autori come le vittime”[8]. I sentimenti umanitari della Hillesum si ricollegano alla scoperta di Dio nella profondità del proprio essere: “Dentro di me – ella scrive – c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta da pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo”[9]. Etty ritiene che Dio vada cercato nella propria profondità, anzi s’identifica con essa, cioè con la ‘vastità’ che c’è in lei[10]. Bisogna fare autoconoscenza per poterLo trovare, altrimenti la sua Realtà rimane nascosta. La religiosità della Hillesum, molto eclettica, risente particolarmente del pensiero di sant’Agostino[11]. Ella esprime i suoi sentimenti religiosi a volte attraverso delle preghiere, che affida alle pagine del suo Diari: “Mio Dio, prendimi per mano, ti seguirò da brava, non farò troppa resistenza. Non mi sottrarrò a nessuna delle cose che mi verranno addosso in questa vita, cercherò di accettare tutto e nel modo migliore. Ma concedimi di tanto in tanto un breve momento di pace. Non penserò più nella mia ingenuità, che un simile momento debba durare in eterno, saprò anche accettare l’irrequietezza e la lotta. Il calore e la sicurezza mi piacciono, ma non mi ribellerò se mi toccherà stare al freddo perché tu mi tenga per mano. Andrò dappertutto allora, e cercherò di non aver paura. E dunque mi troverò, io cercherò d’irraggiare un po’ di quell’amore, di quel vero amore per gli uomini che mi porto dentro, ma non devo neppure vantarmi di questo ‘amore’. Non so se lo possiedo. Non voglio essere niente di così speciale, voglio solo cercare di essere quella che in me chiede di svilupparsi pienamente. A volte credo di desiderare l’isolamento di un chiostro. Ma dovrò realizzarmi tra gli uomini, e in questo mondo”[12]. La Hillesum ogni giorno dedica del tempo alla preghiera personale inginocchiandosi su una stuoia[13]. L’interiore esperienza di Dio la porta ad accettare con maturità le difficoltà e le precarietà dell’esistenza. Il sentimento religioso non può essere per lei un ‘sacro egoismo’, ma comporta l’apertura all’amore per gli altri in senso universale[14]. Il Dr. Spier ha introdotto la Hillesum al seno confronto tra ebraismo e cristianesimo: “Due filosofie di vita – ella scrive -, ambedue nettamente delineate, brillantemente documentate, compiute e armoniose, difese con passione e aggressività”[15]. Etty è cosciente del fatto che la ricerca della Verità comporta il rischio dell’inganno, della sopraffazione di una presunta verità sull’altra. Nonostante ciò ella è decisa a non rinunciare all’impresa per ricercare la sua personale verità, altrimenti la sua vita potrebbe ritornare nel caos[16].

Il dramma del destino ebraico – Il Diario di Etty testimonia l’aggravarsi della situazione storica a partire dal 18 maggio 1942, e così si esprime in merito: “Le minacce e il terrore crescono di giorno in giorno”[17]. A partire da questo momento le vicende sociali diventano parte integrante della situazione personale della Hillesum. Il suo atteggiamento è quello di affrontare tutto ciò ricercando maggiormente il Dio della propria interiorità: “M’innalzo intorno la preghiera come un muro oscuro che offre riparo, mi ritiro nella preghiera come nella cella di un convento, ne esco fuori più ‘raccolta’, concentrata e forte. Questo ritirarmi nella chiusa cella della preghiera diventa per me una realtà sempre più grande, e anche un fatto sempre più oggettivo”[18]. Etty sperimenta la difficoltà di comprendere il ‘senso’ di ciò che sta succedendo, ma, nonostante l’ansia e la preoccupazione, ella non cede all’abbattimento, come invece le capitava una volta per i suoi problemi personali[19]. Ella, nonostante tutto, vuole essere ancora capace di percepire la bellezza del creato. Gli amici le obiettano che è una sognatrice, che rifiuta il mondo che la circonda, rinchiudendosi nell’intimismo. La Hillesum, invece, è pienamente consapevole della drammatica realtà: “Continuo a guardare le cose in faccia e non voglio fuggire dinanzi a nulla, cerco di comprendere i delitti più gravi, cerco ogni volta di rintracciare il nudo, piccolo essere umano che spesso è diventato irriconoscibile. In mezzo alle rovine delle sue azioni insensate […] Io guardo il tuo mondo in faccia, Dio, e non sfuggo alla realtà per rifugiarmi nei sogni – voglio dire che accanto alla realtà più atroce c’è posto per i bei sogni -, e continuo a lodare la tua creazione malgrado tutto”[20] . Il suo non vuole essere un misticismo alienante, perché “il misticismo – ella scrive – deve fondarsi su un’onestà cristallina: quindi prima bisogna aver ridotto le cose alla loro nuda realtà”[21]. La Hillesum non è una sognatrice, perché è ben cosciente delle orribili realtà che la circondano: guerra, ampi di concentramento, barbarie, sadismo, prigionia, oppressione, odio, nemici”[22]. Tutto ciò la sconcerta e la preoccupa, ma nello stesso tempo ella sa percepire ancora l’abbraccio materno e misericordioso della vita, che non può essere distrutto dalle barbarie disumane[23]. Etty rimane molto colpita dalle notizie che nei ghetti si viva in condizioni molto disagiate (ad esempio in otto in una cameretta); ella si sente quasi in colpa perché può ancora continuare la sua vita di sempre, ma, nello stesso tempo, ella è cosciente che tra breve anche lei condividerà il destino doloroso degli altri ebrei. Nel Diario, infatti, la giovane olandese scrive che le restrizioni aumentano sempre più: gli ebrei non possono entrare nei negozi di frutta e verdura, non possono salire sui tram, devono consegnare le biciclette, non possono uscire di casa dopo le otto di sera. Tutto ciò provoca in Etty tristezza ed avvilimento, ma ella evidenzia però che questi sentimenti non dipendono dalla gravità delle circostanze esterne, ma solo dal suo stato psicologico di depressione, che le fa sentire come minacciose le circostanze esterne. Ella ritiene che la paura e lo sconforto possono essere superati solo con la fiducia interiore[24]. Per recuperare la sua energia interiore, Etty si propone di affrontare bene i vari disagi fisici: “Devo prepararmi – ella scrive – a un futuro in cui gli impedimenti fisici faranno parte della mia vita, se voglio evitare che essi si presentino ogni volta come ostacoli inaspettati e paralizzanti”[25]. Agli ebrei viene pure vietato di passare per le strade di campagna, ma per Etty “sopra quell’unico pezzo di strada che ci rimane – ella scrive – c’è pur sempre il cielo, tutto quanto”[26]. Le umiliazioni subite ingiustamente secondo la Hillesum non possono produrre il oro effetto se l’umiliato non si sente interiormente tale. I nazisti possono solo causare delle privazioni agli ebrei, possono solo rendere la loro vita più difficile, farla diventare spiacevole. Il male peggiore deriva dal fatto di sentirsi interiormente umiliati, perseguitati, oppressi e tutto ciò scaturisce dall’odio, dalla millanteria che maschera la paura. Tali sentimenti privano di ogni energia positiva, anche se è normale, osserva doverosamente la Hillesum, sentirsi ogni tanto tristi e abbattuti per la grave situazione. Tutto ciò porta Etty a riaffermare la sua fede in Dio, negli uomini e nella vita: “Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile, ma non è grave […]. Sono una persona felice e lodo questa vita, la lodo proprio nell’anno del Signore 1942, l’ennesimo anno  di guerra”[27]. Per prepararsi meglio ad affrontare le difficoltà future Etty decide di rendere la sua colazione più frugale, in modo da abituare il suo corpo solo all’indispensabile ed in questo modo lo spirito può essere sempre più libero[28]. Alla notizia di una probabile deportazione in Polonia degli ebrei olandesi, nonostante che già settecentomila siano morti in Germania e nei territori occupati, Etty reagisce rinnovando la sua fede in Dio e negli uomini. Ella precisa che la responsabilità delle atrocità è degli uomini, non di Dio, per cui la vita continua ad essere bella e ricca di significato. La giovane olandese, però, deve fare i conti anche con la sua fragilità, condividendo la paura degli altri. Ella, infatti, parla di stato di nervosismo, irrequietezza, a causa delle nuove ordinanze. Nonostante i momenti di avvilimento, la Hillesum  riesce a recuperare presto la sua tranquillità e porta avanti il suo lavoro di lezioni di conversazione russa ad una cattolica. Ella osserva nel Diario: “Il fatto di potere oggi, come ebrea, aiutare una persona non ebrea, dà una singolare sensazione di forza”[29].

Il primo luglio 1942, la Hillesum nel suo Diario riporta la notizia della strage degli ebrei in Polonia, a cui il suo spirito reagisce, anche se il corpo è distrutto dall’ansia e dal terrore. Sempre riguardo alle notizie che arrivano dalla Polonia ella scrive che gli occidentali si lasciano schiacciare dalla paura, perché non sanno soffrire in modo degno e la loro vita è oppressa dalla rassegnazione, dall’odio,dalla disperazione. Ogni giorno di vita è una vita intera, per cui vivere un giorno in più ed un giorno in meno non fa tanta differenza; bisogna imparare ad accettare la morte, anche quella atroce. Etty esprime sentimenti di compartecipazione al dolore degli oppressi e dei trucidati: “Io sono – ella scrive – quotidianamente in Polonia, su quelli che si possono ben chiamare dei campi di battaglia, talvolta mi opprime una visione di questi campi diventati verdi di veleno; sono accanto agli affamati, ai maltrattati e ai moribondi, ogni giorno, ma sono anche vicina al gelsomino e a quel pezzo di cielo dietro la mia finestra, in una vita c’è posto per tutto. Per una fede in Dio e per una misera fine”[30]. Secondo la Hillesum, il saper soffrire comporta anche il saper soffrire da soli, senza pesare sugli altri. La vita va vissuta fino in fondo, minuto per minuto, ma in essa cè spazio anche per il dolore, che è inevitabile. Le ingiustizie e le atrocità ci sono sempre state, anche se sono state realizzate con forme diverse: inquisizione, guerra, pogrom[31]. Il dolore va integrato nella propria esistenza; in questo modo si diventa capaci di accettare veramente la vita[32]. Etty è cosciente, però, che questi suoi pensieri sono soltanto teorici; quando arriverà il momento in cui sarà messa alla prova, si tratterà di tradurli in pratica con le lacrime e il sangue. Il 3 luglio 1942 Etty scrive di provare un certo scoraggiamento perché ormai si ha la certezza che si vuole lo sterminio degli ebrei. Ella soffre già, non solo per i disagi fisici causati dalle restrizioni, come il camminare a piedi sotto il sole, ma anche perché si sente toccata emotivamente dalle sofferenze più gravi che stanno affrontando gli altri. Ella, però, si ripropone sempre di accettare la dura realtà e questa sarà la sua eredità che lascerà ai posteri[33].

Con il passare del tempo la vita quotidiana di Etty è sempre più contrassegnata dalla consapevolezza dell’imminenza della tragica fine: “Sembra quasi un paradosso: se si esclude la morte non si ha mai una vita completa; e se la si accetta nella propria vita, si amplia e si arricchisce quest’ultima. E’ la prima volta –scrive la giovane ebrea – che ha da confrontarmi con la morte. Non ho saputo bene come comportarmi con lei, sono vergine nei suoi confronti”[34]. Ella non si lascia condizionare dagli steccati che vengono creati dall’odio perché parla anche di un tedesco umano che non condivideva la barbarie della guerra[35]. I disagi imposti sempre più dai nazisti causano la debolezza fisica della Hillesum, ma nonostante la stanchezza, la tristezza e la paura, ella si sente affettivamente solidale con tutta l’umanità sofferente, anche con quella del passato. La vita, infatti, per lei è significativa se viene accettata nella sua totalità universale; quando, invece, l’esistenza si chiude nel particolarismo, perde il suo significato e diventa arbitraria[36]. Vivendo nell’imminenza della tragedia, Etty apprezza ancor più le piccole raffinatezze della civiltà, come un sapone profumato, che ancora si può permettere. Quando non potrà più averle – ella scrive –continuerà ad essere felice, perché saprà che ci sono ancora, anche se toccherà solo ad altri di poterne usufruire[37].

La vita di Etty, che diventa sempre più tragica, assume anche maggiore ricchezza umana. La giovane olandese arriva a non avere più pretese, ed apprezza ogni piccola cosa buona  come un dono inaspettato che suscita in lei profonda riconoscenza[38]. Lo stupore che prova per il bene ricevuto si integra sempre più con la disponibilità psicologica ad accettare il male invitabile: “Io so, ora, che vita e morte – ella scrive – sono significativamente legate fra loro. Sarà uno scivolare dall’una nell’altra – anche se la fine potrà essere triste o persino orribile, nella sua forma esteriore”[39]. In quanto ebrea, la Hillesum è consapevole di andare verso un ‘destino di massa’ e per poterlo affrontare ella cerca di mettere da parte i suoi infantilismi personali, aprendosi sempre più alla solidarietà universale. Il destino è ineluttabile – ella afferma – e se qualcuno si sottrae ad esso ci sarà sempre un altro che prenderà il suo posto, per cui è meglio non evitarlo: “E, come fosse un fagottino, io mi lego sempre più strettamente sulla schiena, e porto sempre più come una cosa mia quel pezzetto di destino che sono in grado di sopportare con questo fagottino già in cammino per le strade”[40]. In questo tragico destino ella sente che il proprio ruolo è quello della ‘cronista’, per raccontare la storica ebraica del suo presente, non in modo collettivistico, ma a partire dai singoli protagonisti. Il tragico destino comporta i campi di prigionia, i gas velenosi. Dinanzi a tanto orrore, Etty paradossalmente lancia una sfida a Dio: “E se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio”[41]. Dio  si mostra impotente nei confronti della tragedia e aiutarlo significa aiutare se stessi, facendo in modo che Dio non venga distrutto nella propria interiorità e venga disseppellito dai cuori altrui. Nelle pagine del Diario la Hillesum esprime anche il suo sdegno morale per un regime disumano. Tuttavia, ella ritiene che solo il rancore e l’amarezza personale sono puerili, incapaci a far fronte ad eventi di natura diabolica. Ella si sente incapace di odiare, di lasciarsi andare all’amarezza, perché sente di avere dentro di sé un amore infinito[42]. Il suo atteggiamento, ella precisa, non è masochista, perché non consiste nel desiderare la tragica sorte, ma è solo l’accettazione dell’ineluttabile; è la consapevolezza che anche in un campo di concentramento si può fare qualcosa di bene per gli altri. Se ella non riuscirà a salvarsi, vuol dire che la sua vera personalità si manifesterà nel modo in cui morirà. Nel Diario Etty accenna al fatto che i suoi amici la esortavano a fare domanda d’impiego presso il Consiglio ebraico, che però poteva assumere solo centottanta persone. La Hillesum non ritiene opportuno dover prendere delle iniziative per sfuggire al Campo, sfruttando le sue conoscenze. Ella è cosciente che prima o poi soccomberà anche il Consiglio ebraico. La giovane olandese, però, finisce con il cedere alle pressioni e fa richiesta di essere assunta come impiegata del Consiglio[43]. Etty vive però questa decisione in modo conflittuale, come se avesse compiuto un’azione indegna, per salvare se stessa, cioè, avesse fatto soccombere altri. Ella, in effetti, preferisce combattere – scrive nel Diario – contro se stessa, piuttosto che contro gli altri e gli eventi, per diventare più padrona di se stessa: “Io appartengo – ella scrive – piuttosto al genere di persone che preferiscono galleggiare ancora un po’ sull’oceano, stese sul dorso e con gli occhi rivolti al cielo, finché – con un gesto rassegnato e devoto – vanno a fondo per sempre”[44].Tutto ciò potrebbe far pensare ad una sorta d’intimismo e a una passività meschina. La Hillesum chiarisce però che la sua non è paura del rischio e della lotta; il suo è l’atteggiamento di vedere la storia a distanza e in questo modo si sente capace di non soccombere. L’autoanalisi della giovane ebrea, che viene testimoniata nel suo Diario,  però è sempre contrassegnata dal conflitto interiore: I sentimenti di fiducia e di speranza si scontrano con i momenti di sconforto, in cui tutto lo sembra distruzione e le mancano le forze per reagire: “Talvolta è come se – ella scrive – sul mio cuore venisse sparso uno strato di cenere. O come se sotto i miei occhi il mio viso apparisse e si dissolvesse, e nei suoi lineamenti grigi i secoli si inabissassero uno dopo l’altro, e tutto si disfacesse, e il mio cuore lasciasse andare tutto”[45]. Etty confessa che in certi momenti arriva a provare la disperazione, perché la fragilità umana non consente di avere una pace ininterrotta[46].

Il Campo di lavoro – Anche se non viene riportato nel Diario, il 15 luglio 1942 la vita della Hillesum subisce un cambiamento, perché ella ottiene l’impiego prego il Consiglio ebraico, un luogo d’inferno, come lei lo definisce, in cui però riesce a trovare dei momenti per essere sola con se stessa e darsi alla lettura[47]. Etty riesce a rispettare un ritmo di vita personale, anche se è molto provata dall’angoscia delle persone che avvicina: “Spero di essere – ella scrive – come un centro di tranquillità in quel manicomio”[48]. Solo conservando il suo stile di vita personalissimo di concentrazione, riflessione, preghiera ella si sente capace di resistere all’immane sforzo fisico e psicologico. La giovane olandese esprime un giudizio negativo sul Consiglio, che aveva una funzione puramente illusoria. In esso c’era anche del marciume[49], perché alcuni collaboravano con i nazisti per far deportare gli altri, sperando di salvare se stessi. Ella scrive che i suoi colleghi non sono veramente toccati dalle dolorose esperienze con cui vengono a contatto: “Odiano, e sono ciecamente ottimisti se si tratta della loro piccola persona, e sono ancora ambiziosi per il loro piccolo impiego; è una gran porcheria e ci sono dei momenti in cui mi perdo completamente di coraggio”[50]. Il 23 luglio 1942, nonostante la giornata molto pesante, Etty annota nel suo Diario di provare un senso di benessere, di non avere neppure i suoi soliti malesseri fisici, probabilmente di natura psicosomatica: “Se le stesse cose – ella scrive – mi fossero capitate un anno fa, sarei crollata dopo tre giorni o mi sarei suicidata o avrei preso degli atteggiamenti forzatamente vivaci. Ora invece c’è un tale equilibrio e pazienza e pace e senso di prospettiva e anche una qualche intuizione sui rapporti tra le cose, non so cosa sia, ma malgrado tutto: sto bene, mio Dio”[51]. In Etty va maturando un profondo silenzio, nonostante le tante parole inutili da cui è circondata. Solo nel silenzio, ella osserva, possono maturare le poche parole che sono veramente necessarie[52]. Tra il 29 luglio 1942 ed il 5 settembre il Diario si interrompe, perché la Hillesum riceve l’ordine di partenza per il Campo di Westerbork. J. G. Gaarlandt afferma che fu Etty, di sua spontanea volontà, a partire per Westerbork[53] con gli ebrei prigionieri, anche se ciò non emerge chiaramente dal Diario. In questo periodo Julius Spier si ammala e muore. Ella rimase nel campo dall’agosto del 1942 al settembre 1943; all’inizio poteva avere dei permessi speciali per recarsi alcune volte ad Amsterdam presso il Consiglio Ebraico. Una di queste licenze fu particolarmente lunga, passata anche in ospedale, a causa di una grave malattia. Nell’ultima parte del suo Diario la Hillesum, oltre a parlare della morte di Spier, fa riferimento a persone e situazioni del Campo. Il Diario, dopo l’interruzione, riprende il 15 settembre 1942. Ella scrive che i due mesi al Campo hanno esaurito le sue energie di una vita intera; anche se il suo spirito è riuscito a sopportare tutto, il suo corpo ne ha risentito. Il suo cuore ha provato tanto amore e dolore; la sua malattia non ancora è riuscita ad accettarla, si sente confusa ed ha bisogno di tanta pazienza. Come è consueto per la Hillesum, il parlare con se stessa spesso diventa un parlare con Dio: “Amo così tanto gli altri – ella scrive –perché amo in ognuno un pezzetto di te, mio Dio. Ti cerco in tutti gli uomini e spesso trovo in loro qualcosa di te. E cerco di disseppellirti dal loro cuore, mio Dio. Ma avrò bisogno di molta pazienza e riflessione e sarà molto difficile. E dovrò far tutto da sola. La parte migliore e più nobile del mio amico, dell’uomo che ti ha risvegliato in me, è già presso di te”[54]. La malattia costringe Etty a stare a letto. Il medico le rimprovera di avere una vita interiore molto intensa, vivendo quasi ai confini del cielo, per cui il suo fisico non regge. La giovane ebrea dice a stessa che, siccome il cielo esiste, bisogna vivere in esso: il suo cielo vive dentro di se[55]. Ella desidera l guarigione ma accetta l’enigma di Dio, accetta tutto da Dio, cosciente del fatto che quando si sa sopportare un peso, esso si converte in bene[56]. La Hillesum, ricordando Westerbork, afferma che i suoi colleghi del Consiglio Ebraico si erano dimostrati chiassosi e litigiosi. Avrebbe voluto trasformarli, cioè avrebbe voluto essere una piccolissima parte della loro anima; avrebbe voluto essere, metaforicamente, le braccia in cui viene raccolta la parte migliore di ognuno di loro. Animata da tali sentimenti, riusciva a trovare in loro un gesto o uno sguardo nobile, di cui forse essi non erano neppure consapevoli[57]. Anche nelle situazioni problematiche, affrontate in modo realistico, i sentimenti di autentica fraternità della Hillesum non vengono meno. Etty, facendo un bilancio della sua vita nel Diario, riscontra che il risultato di essa è la felicità, che deriva dal riposare in se stessi, nella parte più profonda di se stessa, che ella definisce ‘Dio’.[58] Ella si sente protetta e sicura fra le braccia di Dio, si sente impregnata di eternità, per cui ogni suo respiro sembra terno ed ogni piccola azione o parola assume in significato profondo. La Hillesum ha sperimentato in se stessa la capacità di leggere nell’animo degli altri, per analizzare in profondità i loro problemi. Questa sua attività introspettiva ha come scopo di trovare una dimora per Dio nell’animo di coloro che avvicina. La giovane olandese, impedita dalla sua malattia, sente la nostalgia del Campo, anche se a Westerbork le mancava molto la sua ‘scrivania’. Nel suo Diario ripensa ad un amico conosciuto al Campo, Jopie Vleeschouwer, da lei denominato ‘piccolo compagno d’armi’ e ricorda la sua baracca, la brughiera del Campo. Nel Diario, in modo paradossale, così si esprime riguardo a queste giornate: “Questi due mesi tra il filo spinato […] sono stati mesi più intensi e più ricchi della mia vita e una tale conferma, dei valori più importanti e più alti per me”[59]. Il Campo ha posto la giovane olandese dinanzi a quello che definisce il ‘nudo steccato della sua esistenza, alla ossatura di essa, senza alcuna costruzione esterna’[60].

Ripensando ad un colloquio avuto al Campo con il suo amico Jopie, Etty afferma che “si è a casa sotto il cielo. Si è a casa dovunque su questa terra, se si porta tutto in noi stessi […]. Dobbiamo essere la nostra propria patria”[61]. Il sentirsi a casa dipende dalla propria interiorità, dai problemi ideali e non dal luogo in cui ci si trova, neppure se si tratta di un campo di lavoro o di concentramento. Nei campi di prigionia, osserva la Hillesum, gli uomini e le donne vengono separati e non ci può essere amore tra loro; tale amore dovrebbe essere riversato su tutta la comunità umana, coniugandolo con il perdono e con la capacità di accettare i propri difetti. Etty, scrive nel Diario, che nella sua vita precedente, aveva cercato di capire se stessa e il senso della sua esistenza. All’improvviso si è trovata scaraventata in un centro di dolore umano, uno dei tanti d’Europa; ha imparato a capire il suo tempo, scrutando i volti segnati dal dolore. Nell ‘inferno del Campo si è compiuto qualcosa di meraviglioso nel suo intimo: “Era proprio come se le mie dita – ella scrive – sfiorassero i contorni di questo tempo, e di questa vita. Com’è possibile – si chiede – che quel pezzetto di brughiera recintata dal filo spinato, dove si riversava e scorreva tanto dolore umano, sia diventato un ricordo quasi dolce? Che il mio spirito non sia diventato più tetro in quel luogo, ma più luminoso e sereno! A Westerbork ho letto un tratto del nostro tempo che non mi sembra privo di significato”[62]. La Hillesum evidenzia che c’è continuità tra la sua vita di prima e quella al Campo, nel senso che prima aveva sentimenti di solidarietà nei confronti di coloro che sono segnati dal dolore e a Westerbork si è rivelata la conferma di tale atteggiamento. Quando Etty s’incontra con la malvagità cerca di scoprirne le cause psicologiche, facendo un esame introspettivo dei soggetti malvagi. Nel Diario ella cita l’esempio dell’assistente al Campo che provava molto odio per i nazisti, ma si comportava in modo crudele come loro. Egli era stato un brillante giurista e durante la guerra aveva tentato il suicidio. Secondo Etty il problema di quell’uomo era quello di non aver risolto il conflitto infantile con la madre, di non essere riuscito ad imporsi alla madre. Secondo la giovane ebrea non esistono persone malvagie ma solo persone spaventate. Bisogna aiutare tali persone a fare introspezione, a leggere in se stessi. Non bisogna odiare i nemici, ella sottolinea, perché a volte si è nemici con noi stessi. Il discorso del superamento dell’odio comporta per la Hillesum il recupero del Cristianesimo[63].

Il 24 settembre del 1942 Etty scrive nel Diario che solo con la solidarietà reciproca al Campo c’è la possibilità di affrontare tutti i disagi anche dell’inverno. La solidarietà non ha limiti, perché va estesa a tutta l’umanità ed anche ai nemici: “Ci sentiremo inseriti [così facendo] in un tutto e sapremo di essere uno dei tanti fronti sparsi per tutta la terra”[64]. La sensibilità poetica di Etty, come già evidenziato, la porta a cogliere la bellezza anche della brughiera del Campo, dei lupini, della sabbia; tutto il paesaggio che circonda il luogo di dolore viene da lei trasfigurato esteticamente. Anche questa sensibilità, come quella della solidarietà, però, si fonda sempre su un motivo teologico. Ella riesce a trasfigurare tutto per la sua fede in Dio[65], scoperto nel più profondo di se stessa. Nel Campo l’animo poetico di Etty si affina maggiormente e pensa a se stessa come al “cuore pensante della baracca[66] e del campo di concentramento. Il 25 settembre 1942, facendo un’autoanalisi spietata e ripensando alla sua permanenza al Campo, ella scrive di rimproverare a se stessa  di non essere riuscita a fare di più per le ragazze che le erano state affidate. Ella si autodefinisce frivola e capricciosa e sente il bisogno di avere maggiore maturità psicologica, di avere un comportamento etico più rigoroso, per affrontare più adeguatamente la situazione al Campo: “Ho mancato in tanti modi, il mio vero lavoro – ella scrive – deve ancora cominciare. Finora è stata soprattutto Spielerei[67]. I pensieri personali della Hillesum sono sempre conflittuali. Ella riconosce che la sua vita morale è problematica, ma ribadisce di avere un’intensa vita interiore, un’intensità da lei definita, probabilmente in modo iperbolico, demoniaca ed estatica[68]. Ella si sente capace di arrivare alla sorgente originaria del proprio essere, che è Dio. La pace e l’energia della sua esistenza, anche al Campo, dipendono dalla sua capacità di “ritirarsi” nella preghiera come nella cella di un convento[69]. Per essere fedeli a se stessi e a Dio, puntualizza la giovane olandese, bisogna sviluppare i propri talenti e si tratta d’impegnarsi, nel suo caso, più seriamente nello scrivere. Da una parte ella deve aspettare che le parole maturino in lei e dall’altra deve stimolare tale crescita. Etty è cosciente però che le parole mai comunicare pienamente l’intensità delle sue emozioni e delle sue esperienze personali[70]. Etty, però, non vuole essere la cronista né di orrori né di fatti sensazionali; ella ribadisce che vuole stare in mezzo agli orrori per dire che la vita è bella[71]. La Hillesum si confronta continuamente con la sua fragilità. A volte le sue forze creative personali vengono corrose dall’ansia, dalle preoccupazioni per il futuro, e si comporta in modo opposto a come si era riproposta. Ella evidenzia nel Diario che bisogna realizzare quanto è in proprio potere, senza lasciarsi soffocare dalle meschine paure che mettono in crisi la fiducia in Dio. La giovane olandese sperimenta che la sua forza creativa si accresce man mano che diventa capace di liberarsi dalle esigenze materiali, come fame, freddo e ansietà per i pericoli. Il dolore va assunto consapevolmente perché arricchisce la vita; bisogna invece liberarsi, ella sottolinea, dall’idea del dolore, dalla paura del dolore, perché essa opprime le migliori energie interiori[72]. Etty si ripropone di assumere il dolore che le manda Dio e non quello che lei stessa si sceglie. Come conseguenza di queste riflessioni ella cerca di convincere se stessa che i suoi problemi di salute non sono gravi e che può tornare al Campo; ma anche se dovesse restare immobile nel letto, ella si sentirebbe sempre vicina a tutta l’umanità, non verrebbe meno alla solidarietà universale, nonostante l’aggravarsi della situazione europea. La Hillesum esprime questi suoi sentimenti nel Diario con un monologo che è al tempo stesso una preghiera: “Ti prometto di vivere pienamente dovunque tu decida di farmi fermare. Ma vorrei tanto partire mercoledì [era ancora ammalata e desiderava tornare a Westerbork], anche se fosse solo per due settimane. Sì, lo so che ci sono dei rischi: ci sono più SS nel campo e sempre più filo spinato tutt’intorno, le restrizioni aumentano e forse, tra due settimane, non potremo neppure più venir via, anche questo è possibile. Ti senti di correre questo rischio?”[73]. La Hillesum, in seguito, decide di aspettare fino alla domenica per decidere il da farsi e per valutare meglio il suo stato di salute. Quando deve constatare che non può tornare al Campo per le sue condizioni di salute ella non è contenta di ciò, non vuole sentirsi al sicuro, ma vorrebbe trovarsi in tutti i campi d’Europa, per poter vivere la fratellanza universale: “Voglio che ci sia un po’ di fratellanza tra tutti questi cosiddetti ‘nemici’ dovunque io mi trovi”[74]. Ella però deve accettare il fatto che le sue condizioni di salute sono ancora precarie; deve prima farsi curare bene per poter tornare al Campo e rendersi utile: “Non devo proprio essere – ella scrive – infantile o impaziente. Che fretta ho di condividere tutte le miserie degli altri dietro quel filo spinato? E che cosa sono sei settimane in una vita intera?”[75]. La Hillesum scrisse l’ultima parte del suo Diario dopo il primo mese a Westerbork, vivendo come gli altri nel terrore della continua minaccia di essere deportati in Polonia. La Hillesum nel suo Diario non fa accenno al fatto che i suoi amici tentassero di convincerla a nascondersi; una volta cercarono perfino di rapirla per salvarla. Ella si rifiutò sempre, perché voleva seguire la sorte dei suoi genitori; ugualmente fece il fratello Mischa, che ugualmente aveva avuto la possibilità di salvarsi.

Verso Auschwitz – Westerbork, un piccolo fazzoletto di terra, costituiva l’ultima tappa per gli ebrei olandesi e tedeschi prima di Auschwitz. In uno spazio molto limitato vennero ospitati circa tremila o quarantamila persone. Tutti cercavano di restare al Campo il più a lungo possibile, ma Westerbork, progressivamente si svuotò del tutto. Solo un’élite culturale ed i banchieri, per interessamento di alcuni funzionari olandesi, ebbero la possibilità di essere trasferiti al castello di  Barneveld. Misha, il fratello di Etty, rifiutò questo privilegio, perché non venne concesso anche ai suoi genitori. La Hillesum trascorse inizialmente cinque settimane a Westerbork, poi andò dai genitori a Deventer ed il 5 settembre 1942 ritornò ad Amsterdam, dove rimase per tre mesi a causa della sua malattia. Le Lettere da Amsterdam testimoniano i profondi legami di amicizia che Etty aveva stretto al Campo, la sua premura per le esigenze di ognuno ed il suo attaccamento al Campo, nonostante fosse un luogo di dolore e di disperazione. Ella così scrive da Amsterdam il 14 agosto 1942 all’amico Korman: “Io giro per molte, troppe strade e Westerbork mi accompagna. E’ strano che ci si possa legare tanto in fretta a un luogo e ai suoi abitanti. Ritornerò volentieri da voi, anche se faccio molta fatica a separarmi da persone così familiari. Ma in qualche modo mi sento attratta da quel pezzetto di terra in mezzo alla brughiera, su cui stati scaraventati tanti destini umani”[76]. Il paradossale amore per il Campo della giovane ebrea è espressione del suo amore universale che non fa distinzione tra tedeschi, olandesi, ebrei e non ebrei[77]. Ella cerca sempre di far emergere la positività della vita,come già emerso nel Diario, ma non in modo ingenuo e superficiale, bensì assumendo in prima persona, le circostanze più negative della vita. Per lei tutto questo comporta anche la disponibilità a salire sul treno per i deportati[78]. La Hillesum ritornò a Westerbork il 20 novembre; dopo due settimane dovettero ricoverarla all’ospedale olandese-israelitico di Amsterdam per calcolosi biliare. Ella ritornò definitivamente a Westerbork nel giugno del 1943. Le Lettere dal Campo sono indirizzate ai suoi tanti amici per congedarsi da loro, perché era risaputo che la deportazione in Polonia significava la morte sicura. Le Lettere ci fanno conoscere i sentimenti e le riflessioni di Etty nell’ultima fase della sua vita. Etty scrive infatti che la situazione al Campo è molto peggiorata: “Che strazio – ella scrive a Han Wegerif il 23 novembre 1942 -, mi trovo qui da meno di tre giorni e già mi sembrano settimane. Non è più così ‘idilliaco’ come nell’estate scorsa, proprio per niente”[79]. Nonostante l’orrore ella manifesta di essere contenta di trovarsi in quel luogo infernale[80]. La Hillesum fa una cronaca dettagliata, pervasa anche di senso ironico, della vita al Campo: il ritmo della giornata e le tragiche novità di ogni giorno. Riguardo ai turni per le deportazioni Etti scrive che superficialmente potrebbero sembrare episodi monotoni e ripetitivi, ma ogni convoglio ha una propria peculiarità: “La prima volta che uno di questi convogli passò per le nostre mani, ci accadde di pensare che mai più avremmo potuto ridere e essere lieti, che ci eravamo trasformati in persone diverse, improvvisamente invecchiate e estraniati da tutti gli amici di prima[81]. Etty riferisce anche dell’arrivo di ebrei cattolici (suore, monaci e preti), in seguito ad una retata dei nazisti del 1° agosto 1942, come risposta alla protesta dell’arcivescovo Johannes de Jong per la persecuzione degli ebrei. Il 2 agosto ne arrivarono sessantatre a Westerbork e fra questi vi era Edith Stein, uccisa ad Auschwitz il 9 agosto 1942. La Hillesum evidenzia nelle Lettere che che coloro che avevano il privilegio di restare a Westerbork ‘fino a nuovo ordine’ correvano un grave rischio morale, quello di diventare apatici e insensibili[82]. Il dolore  di cui si diventava testimoni era di una tale vastità che non si era in grado di assorbirlo, per cui si preferiva cercare di non pensare e di non sentire. Per la Hillesum, invece, preoccuparsi solo della salvezza fisica era una cosa meschina. La sua speranza in una umanità migliore non veniva meno. Ella riteneva, infatti, che gli ebrei che fossero riusciti a scampare alla morte, avrebbero dovuto offrire all’umanità un contributo culturale e spirituale: “Dai campi stessi dovranno irraggiarsi nuovi pensieri, nuove conoscenza dovranno portar chiarezza oltre i recinti di filo spinato e congiungersi con quelle che là fuori ci si deve ora conquistare con altrettanta pena, e in circostanze che diventano quasi altrettanto difficili. E forse allora, sulla base di una comune e onesta ricerca di chiarezza su questi oscuri avvenimenti, la vita sbandata potrà di nuovo fare un cauto passo in avanti”[83]. Dianzi a condizioni di vita assurde e disumane, rimarca la giovane ebrea, non si può ricercare la soluzione dell’odio, perché esso rende il mondo ancora più inospitale, mentre la terra può diventare più abitabile, osserva Etty, solo con l’amore di cui parla l’ebreo Paolo di Tarso in 1 Cor 13.

L’essere testimone dei rastrellamenti rende la Hillesum capace di totale altruismo, non preoccupandosi della sua sopravvivenza, ma dedicandosi solo al prossimo[84]. Pur essendo prigioniera, Etty non si sente privata della sua libertà; pur essendo nel dolore prova contentezza, perché esso può essere solo un fatto momentaneo[85]. Man mano che la situazione a attorno a lei si fa sempre più cupa, Non viene meno la sua fede nell’uomo, che scaturisce da quella in Dio e riesce sempre a dire a se stessa: “La vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo. A ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere. E se sopravvivremo intatti a questo tempo, corpo e anima ma soprattutto anima, senza marezza, senza odio, allora avremo anche il diritto di dire la nostra parola a guerra finita. Forse io sono una donna ambiziosa: vorrei dire anch’io una piccola parolina”[86]. La Hillesum sente di poter contribuire, già nella sua condizione, alla costruzione di una società futura, con la sua interiorità che si arricchisce sempre più[87], nonostante l’orrore che la circonda. Anche Etty vive momenti di depressione ed arriva a provare anche la disperazione. Tuttavia   ella riesce a superare questi momenti sentendosi integrata in un Destino universale e così sperimenta la sua profonda libertà[88]. Mentre la Hillesum è circondata da odio, violenza e crudeltà, ella progredisce più nell’amore universale: “Qui molti sentono languire il proprio amore per l’umanità, perché questo amore non è nutrito dall’esterno. Dicono che la gente di Westerbork non ti offre molte occasioni di amarla: Qualcuno ha detto: ‘La massa è un orribile mostro, i singoli individui fanno compassione’. Ma ho dovuto ripetutamente constatare in me stessa che non esiste alcun nesso causale fra il comportamento delle persone e l’amore che si prova per loro. Questo amore del prossimo è come un ardore elementare che alimenta la vita. Il prossimo in sé ha ben poco a che farci”[89]. La Hillesum al Campo rafforza sempre più anche la sua religiosità: ella, infatti, sente il bisogno di dialogare con Dio e in questo modo ritrova la sua serenità[90]. Attraverso le Lettere, Etty realizza la sua missione di lasciare la testimonianza di un pezzo di storia ebraica durante la guerra e lo fa con profonda sensibilità umana. Tra le varie vicende da lei descritte dettagliatamente è da ricordare la tragedia di una notte di partenze dei deportati per la Polonia. Dopo tale vicenda ella si sente in colpa se è ancora capace di ridere. Descrive così l’accaduto: “Se dico che stanotte sono stata all’inferno, che cosa ne potete capire voi? L’ho constatato, una volta con un certo distacco nel cuore della notte, mi sono detta ad alta voce: ‘Eccomi dunque nell’inferno’”[91]. Etty dapprima non riesce a comprendere perché nelle partenze i nazisti diano la precedenza vecchi e malati, a coloro, cioè, che non sono in grado di affrontare i disagi del viaggio. Intuisce, poi, che alla base di ciò vi è la logica “del consegnare un cadavere per trattenere un vivo”[92]. Il 7 settembre 1943 improvvisamente arrivò al Campo l’ordine di includere fra i deportati Etty, i suoi genitori ed il fratello Mischa. Ella buttò dal treno una cartolina postale per Christien van Nooten, che fu ritrovata lungo la linea ferroviaria e spedita il 15 settembre. Ella affida alla cartolina la sua ultima testimonianza: “Christien, apro a caso la Bibbia e trovo questo: ‘Il Signore è il mio alto ricetto’. Sono seduta sul mio zaino nel mezzo di un affollato vagone merci. Papà, la mamma e Misha sono alcuni vagoni più avanti. La partenza è giunta piuttosto inaspettata, malgrado tutto. Un ordine improvviso mandato appositamente per noi dall’Aia. Abbiamo lasciato il campo cantando, papà e mamma molto forti e calmi, e così Mischa”[93]. Etty si congeda dagli amici nella piena consapevolezza del tragico destino a cui va incontro, ma dalla sua interiorità, ricca e complessa, prorompe un canto, che celebra l’amore per la vita, per l’umanità e per la profondità del suo essere, che è Dio. Etty con i suoi familiari arrivò ad Auschwitz il 10 settembre ed i suoi genitori furono mandati nello stesso giorno nella camera a gas. La giovane ebrea olandese, sapendo di essere destinata alla morte, aveva affidato precedentemente i suoi diari all’amica Maria Tuinzing, che avrebbe dovuto consegnarli, a guerra finita, agli Smelik. Essi non riuscirono a trovare editori interessati alla pubblicazione. Solo nel 1980 J. G. Gaarlandt mostrò grande interesse per le pagine della Hillesum  e nel 1982 pubblicò anche le sue Lettere. Nel rapporto della Croce Rossa si afferma che la Hillesum morì ad Auschvitz il 30 novembre 1943. Mischa morì il 31 marzo 1944. Suo fratello Jaap che era sopravvissuto, morì mentre tornava in Olanda.

Conclusione – Etty Hillesum è certamente un personaggio complesso, difficile da definire, perché nella sua vita ci sono aspetti contrastanti: un comportamento trasgressivo inizialmente ed una forte carica di spiritualità che si radica sempre più, che si manifesta anche come religiosità interreligiosa, fuori da ogni schema istituzionale e che arriva quasi al misticismo. Il suo concentrarsi su stessa per arrivare alla propria profondità non l’ha portata ad un alienante intimismo, perché la giovane ebrea intellettuale è stata capace di apprezzare la bellezza della vita, nonostante la tragicità di essa. Ella è stata capace di un amore universale (fraternità universale anche se non usa tale terminologia), aliena da ogni forma di odio e vendetta, reazione pur legittima alla violenza collettiva da lei subita assieme ai suoi fratelli ebrei. Il suo amore universale si è tradotto, poi, in gesti concreti di solidarietà, soprattutto nel Campo di lavoro. Etty è stata una donna che ha molto apprezzato lo studio, la riflessione ed ha avuto una sensibilità poetica che emerge dai suoi scritti. La testimonianza della Hillesum sulla Shoah è originale, in quanto supera gli schemi filosofici ebraici e risente anche del messaggio cristiano. Il tutto è rielaborato in modo personale, con il forte influsso della scuola psicologica e teosofica di Julius Spier. Il messaggio di Etty sul dolore e sull’amore, da lei maturato nel suo drammatico itinerario verso Auschwitz, suscita profonda commozione e riflessione e si profila come uno spiraglio di luce in un paesaggio tenebroso di morte e disperazione, creato unicamente dalla crudeltà umana.

di Lucia Antinucci

 

[1] Cf. L. ANTINUCCI, Shoah mistero dell’uomo mistero di Dio. Alcune testimonianze, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli-Roma 2003, 108-139.

[2] Cf. ANTINUCCI, Shoah, 111-114.

[3] Diario, 49.

[4] Ivi.

[5] Anche la Hillesum avverte in sé il forte condizionamento della tradizione maschilista, ma in fondo non nasconde che le piace essere ricercata dagli uomini. Cf. ivi 51-52; ANTINUCCI, Shoah, 115-117.

[6] Diario, 65.

[7] Ivi 68.

[8] Ivi 102.

[9] Ivi 60.

[10] Cf. ivi 60, 176.

[11] Cf. ivi 112, 118, 129, 135.

[12] Ivi 74-75.

[13] Cf. ivi 87.

[14] Ella si confronta spesso con il NT. Cf. ad esempio ivi 78,216,186,207,214,219,221,223; Lettere, 108,123. Per il riferimento all’AT cf. Diario, 149, a Buddha cf. ivi 148, al Corano e al Talmud cf. Lettere, 60.

[15] Diario, 79.

[16] Cf. ivi 80. Spier ha aiutato Etty a pronunciare la parola Dio, vincendo inizialmente la sua ripugnanza. Cf ivi 87.

[17] Ivi 111.

[18] Ivi.

[19] Cf ivi 112.

[20] Ivi 113.

[21] Ivi 125.

[22] Cf. ivi 114.

[23] Cf. ivi 115.

[24] Cf. ivi 121.

[25] Ivi 121-122.

[26] Ivi 126.

[27] Ivi 127.

[28] Cf. ivi 128.

[29] Ivi 135.

[30] Ivi 136.

[31] Cf. ivi 161.

[32] Cf. ivi 137.

[33] Cf. ivi 139.

[34] Ivi 140.

[35] Cf. ivi 142.

[36] Cf. ivi 143.

[37] Cf. ivi 146.

[38] Cf. ivi 143.

[39] Ivi 153.

[40] Ivi 162.

[41] Ivi 163.

[42] Cf ivi 172, 182.

[43] Cf. ivi 168.

[44] Ivi 171.

[45] Ivi 172.

[46] Cf. ivi 174.

[47] Etty leggeva RILKE, Stundenbuch (Il libro d’ore) e Briefe an einen jungen Dichter (Lettera a un giovane poeta). Cf ivi 180, 186, 188.

[48] Ivi 177.

[49] Cf. ivi 182.

[50] Ivi 183.

[51] Ivi 184.

[52] Cf. ivi 187.

[53] Cf. Diario. Introduzione, 18.

[54] Ivi 194.

[55] Cf. ivi 195.

[56] Cf. ivi.

[57] Cf. ivi 199.

[58] Cf. ivi 176.

[59] Ivi 203.

[60] Cf. ivi 204.

[61] Ivi 206.

[62] Ivi 208.

[63] Cf. ivi 211-212.

[64] Ivi 213.

[65] Cf. ivi 216-217.

[66] Ivi 196.

[67] Ivi 217.

[68] Cf. ivi 220.

[69] Cf. ivi.

[70] Cf. ivi 223.

[71] Cf. ivi 233.

[72] Cf. ivi 224.

[73] Ivi 224-225.

[74] Ivi 228.

[75] Ivi 231. Per l’evoluzione del rapporto con Spier cf. ANTINUCCI, La Shoah, 131-133.

[76] Lettere (1942-1943), Adelphi, 21.

[77] Cf. Lettera a Oasis Korman del 28 settembre 1942, 24.

[78] Cf. ivi 26.

[79] Lettera a Han Wegerif del 23 novembre 1942, ivi 28.

[80] Cf. ivi 31.

[81] Lettera a due sorelle dell’Aia, Amsterdam dicembre 1942, ivi 41.

[82] Cf. ivi 44.

[83] Ivi 45.

[84] Cf. ivi 77.

[85] Cf. ivi 80.

[86] Ivi 87.

[87] Cf. ivi 88.

[88] Cf. ivi 96.

[89] Lettera a Maria Tuinzig dell’8 agosto 1943, ivi, 114-115.

[90] Cf. ivi 122-123.

[91] Ivi 132.

[92] Ivi 147.

[93] Ivi 149.

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