Eventi interreligiosi

LUGLIO 2019

1 luglio 2019 Monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, entra a far parte dei consultori della Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo. Lo ha nominato Papa Francesco insieme a monsignor Edward Bernard Scharfenberger, vescovo di Albany (Usa); padre Louis-Marie Coudray, direttore dell’ufficio delle Relazioni con l’Ebraismo della Conferenza episcopale francese, Etienne Emmanuel Veto, direttore del Centro cardinal Bea per gli studi giudaici presso la Pontificia Università Gregoriana. Nominate consultrici anche due donne: suor Maria Neubrand, docente di Esegesi del Nuovo Testamento presso la Facoltà di Teologia dell’Università di Paderborn (Germania), e la professoressa Verena Lenzen, direttrice dell’Istituto per le Ricerche Ebraico-Cristiane dell’Università svizzera di Lucerna.

3 luglio 2019. Le sei maggiori religioni di Hong Kong hanno pubblicato un appello in cui hanno chiesto ai giovani e ai manifestanti, scesi in piazza per difendere le libertà costituzionali di Hong Kong, chiedendo loro di  “resistere davanti alla tentazione di compiere atti che possano causare violenze”. Analogamente hanno chiesto all’esecutivo e alla polizia del Territorio:  “(…) rinuncino a commettere azioni che possano esacerbare ulteriormente gli animi”. Il “Colloquio dei sei leader religiosi” del Territorio è un organismo che riunisce i vertici di buddhismo, confucianesimo, islam, cristianesimo protestante, taoismo e cattolicesimo (nel mondo cinese, cattolici e protestanti sono considerati membri di religioni diverse fra loro). Al momento, il rappresentante della Chiesa cattolica è il card. John Tong Hon, vescovo emerito di Hong Kong nominato da papa Francesco Amministratore apostolico della diocesi in attesa di un nuovo presule. Nel documento, pubblicato soltanto in cantonese, i leader hanno chiesto alla popolazione di “esprimere la propria opinione in maniera pacifica e razionale. Allo stesso tempo chiediamo – hanno affermato – al governo e a chiunque si opponga a queste manifestazioni di ascoltare l’opinione altrui e comunicare in maniera sincera”. Questo appello alla moderazione ha lo scopo di non fomentare ulteriormente una situazione già molto esacerbata.

5 luglio 2019. Il World council of Churches (Wcc) al centro ecumenico di Ginevra per la prima volta ha ospitato un convegno per il dialogo tra sikh e cristiani, con l’obiettivo di commemorare il 550° anniversario della nascita di Guru Nanak (1469), il mistico indiano fondatore del sikhismo. Il vescovo Miguel Ángel Ayuso Guixot, attuale presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, intervenendo al convegno ha affermato che è possibile perseguire la pace in un mondo pluralistico; ha anche indicato sette strade per raggiungere l’obiettivo. Si tratta anzitutto “di vivere ciascuno la propria fede in modo autentico per rimanere radicati nei valori della comprensione della fraternità umana e dell’esistenza armoniosa; riconoscere, preservare quanto c’è di buono a livello spirituale, morale e socio-culturale in tutte le religioni, anche imparando da esse; promuovere autentici legami di amicizia, rispettando l’intrinseca dignità e integrità di ciascun essere umano; lavorare insieme per il bene comune, assicurando che la voce degli ultimi sia ascoltata forte e chiara e che i loro legittimi bisogni siano soddisfatti; favorire una cultura di dialogo e di collaborazione tra persone di diverse tradizioni; creare la consapevolezza che le differenze non sono mai una minaccia ma una potenziale fonte di crescita e di arricchimento; pregare e digiunare per la pace”. Il vescovo Ayuso ha continuato il suo discorso sottolineando che il sikhismo condivide con il cristianesimo il valore dell’ospitalità, che si riflette attraverso la pratica della condivisione dei pasti (Langar). Alytro valore comune è il grande sforzo – messo in atto dai sikh in questi ultimi anni – per proteggere e servire le persone più vulnerabili coinvolte nei conflitti in diverse parti del mondo, come – ad esempio – i rifugiati Rohingya al confine tra Bangladesh e Myanmar, e i profughi siriani. Il prelato ha anche ricordato che Tegh Bahadur (1621-75), il nono guru dei sikh, fu martirizzato per aver difeso la libertà religiosa anche di quanti erano al di fuori della tradizione sikh. Si tratta, in effetti, applicazione pratica della ‘regola d’oro’ che rimanda alla comprensione cristiana della diakonia (servizio) e della koinonia (fraternità).

Monsignor Ayuso ha augurato ai sikh di “continuare a rimanere ispirati dall’esempio del fondatore in modo da diventare sempre più autentici uomini e donne impegnati a costruire la pace e a diffondere la gioia nel mondo”, citando il messaggio di Paolo VI per la Giornata mondiale della pace del 1976. L’illustre relatore ha aggiunto che “tutti devono continuare a lavorare per la pace con pazienza e perseveranza. Nell’attuale contesto di crescente intolleranza, discriminazione, conflitti, tensioni e violenze, a causa dell’aumento allarmante dell’estremismo, del fanatismo, del fondamentalismo e del nazionalismo populista — ha denunciato il vescovo — è necessario che gli uomini si impegnino per la pace ovunque. Imbarcarsi, quindi, in iniziative per la ricerca della pace è un’esigenza globale e un invito urgente agli uomini e alle donne di tutte le fedi”. Del resto, ha aggiunto il presule comboniano, “sulla scia di eventi sconvolgenti che riguardano i paesi in cui viviamo come cittadini o residenti” e persino “nei nostri quartieri, il ruolo dei credenti diventa vitale”, perché vivendo con gli insegnamenti delle religioni — come affermava Giovanni Paolo II nel messaggio per la Giornata mondiale della pace del 1992 — non si “può non produrre frutti di pace e di fraternità”; infatti “è nella natura della religione promuovere un vincolo sempre più stretto con la divinità e favorire un rapporto sempre più solidale tra gli uomini”. Di conseguenza, ha concluso Ayuso, “abbiamo una responsabilità come credenti e come leader delle nostre rispettive comunità”: quella di “diventare costruttori di fraternità e di pace”. Mons. Ayuso, in merito, ha rilanciato il documento sulla ‘Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune firmato ad Abu Dhabi il 4 febbraio scorso dal Papa e dal Grande imam di Al-Azhar, raccomandandone lo studio. Infatti, sebbene si riferisca alle relazioni tra cristiani e musulmani, contiene un messaggio di portata universale.

8 luglio 2019. In occasione delle universiadi ‘Sport e religioni per la pace’ la diocesi di Napoli ha promosso uno spettacolo interreligioso al teatro San Carlo. Oltre all’esibizione di varie accademie musicali e di danza, del coro dei bambini del San Carlo e di atre artisti, c’è stata quella dei vari gruppi religiosi: Baha’i (due solisti hanno eseguito un canto spirituale), ebraismo (il gruppo musicale ha eseguito ritmi e canti mediterranei, anche la canzone napoletana ‘Era de maggio’  in versione ebraica), buddhismo Sri Ridma (danza dello Sri Lanka), buddhismo tibetano (danza per l’autoconsapevolezza), Soka Gakkai (canto di un gruppo giovanile per l’unità dell’Europa). L’esibizione islamica è stata annullata a causa di un tragico evento luttuoso che ha colpito il coordinatore della danza. I rappresenti religiosi presenti all’evento, con una rappresentanza delle loro comunità, sono stati: il rav Ariel Finzi (comunità ebraica di Napoli, il dr. Massimo Cozzolino segretario nazionale della CII e presidente della comunità islamica di piazza Mercato, un monaco del buddhismo Sri Ridma, Angela Furcas e Silvio Cossa per i Baha’i, il dr. Luigi Vitiello coordinatore della Comunità internazionale Dzogchen di Namdeling (via Ponti Rossi, Napoli), una rappresentanza dell’Istituto buddhista Soka Gakkai.

9 luglio 2019. La comunità mondiale Bahá’í ha commemorato una delle date più importanti del suo calendario: il martirio del Báb. Si tratta di un evento tragico e glorioso insieme, che ha posto fine fine alla vicenda terrena del Precursore-Profeta di Bahá’u’lláh, che ebbe luogo nella città persiana di Tabriz, al mezzodì del 9 luglio 1850. Il Bàb venne denigrato, umiliato e deriso; per farlo tacere, infine,  il clero sciita, in combutta con le autorità governative, decise di ucciderlo. Nel XIX secolo A. L. M. Nicolas, interprete presso l’ambasciata francese a Teheran, scrisse sul tragico evento: “Gesù Cristo è morto volontariamente, perché doveva morire e compiere le profezie. È la stessa cosa per il Báb, che volle così dare una prova evidente delle sue parole. È uno dei più magnifici esempi di coraggio che l’umanità abbia mai veduto ed è anche una prova dell’amore che il nostro eroe portava ai suoi simili. Egli ha sigillato con il sangue il patto della fratellanza universale e, come Gesù, ha pagato con la vita l’annuncio del regno della concordia, della giustizia e dell’amore per il prossimo”. Il Bab, che a metà del 1800 suscitò viva ammirazione in  innumerevoli personalità di varie parti del mondo (persino dello Zar di Russia), è ritenuto dai Baha’i un Messaggero di Dio e la Porta all’avvento di “Colui che Dio manifesterà”. Per l’importante solennità i credenti baha’i italiani possono anche astenersi dal lavoro, in quanto la legge italiana obbliga i datori di lavoro a concedere loro una giornata di ferie.

12 luglio 2019. Già da vari anni la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia meridionale (Pftim) sezione San Tommaso d’Aquino, porta avanti un percorso di formazione all’ecumenismo e al dialogo interreligioso attraverso i corsi promossi dal Biennio di specializzazione e  l’Istituto di cristologia. La sezione San Tommaso d’Aquino ha promosso anche incontri accademici con esponenti di varie religioni e delle varie confessioni cristiane. La sezione San Luigi recentemente ha inaugurato un Laboratorio per il dialogo interreligioso e interculturale attraverso le arti: nasce presso la Scuola di alta formazione di arte e teologia (Safat). L’iniziativa, che prenderà il via con l’inizio del prossimo anno accademico, costituisce un ulteriore tassello nel ricco percorso compiuto dalla Scuola in tredici anni di attività, durante i quali ha sempre avuto un’attenzione particolare al dialogo tra religioni e culture. Area di studio, approfondimento e indagine del Laboratorio sarà il Mediterraneo – già al centro dei convegni dal respiro internazionale ‘La Teologia dopo Veritatis Gaudium nel contesto del Mediterraneo’, al quale ha preso parte anche Papa Francesco, e ‘Arte e dialogo nel Mediterraneo’. I laboratori saranno tenuti da studiosi delle tre religioni abramitiche, di storici dell’arte e archeologi di spessore, operatori culturali con esperienza, artisti italiani e internazionali.
“L’arte è da sempre strumento di conoscenza e possibilità di incontro tra i popoli del Mediterraneo perché nell’arte si rivelano i tratti comuni alle differenti culture, soprattutto sul piano religioso – ha sottolineato Giorgio Agnisola, critico d’arte, condirettore della Safat e curatore del Laboratorio -. Ecco perché è importante la nascita di un laboratorio che abbia come priorità la conoscenza e la competenza di carattere interreligioso e interculturale, anche nel campo delle arti. Le stesse città del Mediterraneo hanno un volto frutto di continue sovrapposizioni di culture, nei loro aspetti laici e religiosi: Napoli ne è esempio eccellente e per questo sarà al centro di uno dei progetti che gli allievi porteranno avanti durante il Laboratorio, intitolato ‘Napoli è Mediterraneo’”.

“La Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale con questo Laboratorio – ha aggiunto Pino Di Luccio, decano della sezione san Luigi e direttore della Safat – vuole portare avanti il suo lavoro di ricerca per l’elaborazione di una teologia contestuale nel Mediterraneo che, come ci ha indicato il Santo Padre lo scorso giugno, è chiamata ad essere una teologia dell’accoglienza e a sviluppare un dialogo sincero con le diverse voci territoriali per la costruzione di una società inclusiva e fraterna e per la custodia del creato”.
Il Laboratorio – che sarà aperto a coloro che hanno seguito il corso istituzionale di Arte e Teologia per i beni culturali e a tutti coloro che siano interessati al tema specifico, purché forniti dei titoli e/o delle competenze richiesti per l’accesso alla Scuola BAB:
“Chi può rimuovere le difficoltà eccetto Dio? Dite: Lodato sia Iddio! Egli è Dio! Tutti sono Suoi servi e tutti stanno al Suo comando.”

o svolgano un’attività ecclesiale specifica e possano giovarsi dell’arte come strumento di catechesi e pastorale – si articolerà in due ambiti fondamentali: un ambito conoscitivo, di studio e condivisione culturale, ed uno propositivo, mediante l’attivazione di progetti concreti comuni.

13 luglio 2019. Papa Francesco, in occasione del venticinquesimo anniversario della strage avvenuta il 18 luglio 1994 a Buenos Aires, quando un’autobomba distrusse la sede dell’Associazione mutualità israelita argentina (Amia), provocando 85 morti e oltre duecento feriti, ha scritto: “Non è la religione a incitare e a portare alla guerra, ma l’oscurità nei cuori di quanti commettono atti irrazionali. Dio ci ha chiamati a convivere come fratelli, e questa fratellanza ci abbraccia e ci unisce al di là di qualsiasi limite geografico o ideologico”. In un messaggio in lingua spagnola inviato nei giorni scorsi al presidente Jorge Knoblovits, il Pontefice ha ricordato “come dal primo giorno, ogni 18 luglio il mio cuore accompagna i familiari delle vittime, siano essi ebrei o cristiani. E dal primo giorno — assicura — prego Dio per il riposo eterno di quanti hanno perso la vita in quell’atto di follia» e «prego anche per quanti sono sopravvissuti all’esplosione, portando da allora le ferite nel corpo e nell’anima”. Ampliando la riflessione sulla ‘follia’ del terrorismo stragista, Francesco ha osserva come tuttavia non si tratti di una realtà “limitata all’Argentina. Troppe volte in questi 25 anni — ha fatto notare — abbiamo visto vite e speranze infrante in nome della religione. Questa ‘terza guerra mondiale a pezzetti’ non conosce confini e ha mostrato il suo volto crudele dall’Oriente all’Occidente. Ha fatto di spose vedove e di figli e figlie orfani; e tutto ciò in nome di Dio”, attraverso un uso blasfemo del nome del Signore. Invece, ha puntualizzato il Pontefice, “tutti insieme costituiamo la grande famiglia umana” e “questa consapevolezza di essere fratelli, insieme ai valori del rispetto e della tolleranza — è la conseguente esortazione — la dobbiamo trasmettere alle prossime generazioni”. E poiché, ha aggiunto papa Francesco, “è certo che Dio ci ha creati uguali in diritti, ma lo ha fatto anche in doveri e dignità” ecco allora che “la pace non deve essere solo un nostro diritto”, ma — ha concluso il Papa — “la sua costruzione deve essere anche un nostro obbligo”.

15 luglio 2019. Rappresentanti delle Chiese (pentecostali, battisti, luterani, dei Santi degli ultimi giorni, avventisti), delle comunità religiose cilene, come la comunità ebraica e quella islamica, la locale Conferenza episcopale, hanno firmato una dichiarazione per contestare la decisione del Consiglio nazionale dell’educazione, secondo cui l’insegnamento della religione non sarà più obbligatorio, ma facoltativo per gli studenti del terzo e quarto anno delle medie (in pratica le scuole superiori italiane). Nella dichiarazione si evidenzia come l’insegnamento della religione contribuisca “alla formazione di un cittadino democratico, responsabile, etico, critico, libero, solidale, con una visione della cultura e della religiosità della società in cui vive”. Secondo i leader religiosi, passare da ore obbligatorie e due ore facoltative, messe in alternativa ad altre tre proposte, “crea una concorrenza artificiale e iniqua, favorendo, in pratica, l’eliminazione dal corso di studi” della disciplina, privando così gli studenti di una possibilità di “formazione integrale” e di uno “sviluppo etico, sociale e culturale che proprio la Legge generale dell’educazione dichiara di perseguire”. I  firmatari hanno invitato il Consiglio nazionale dell’educazione a “riconsiderare la sua recente decisione”.

18 luglio 2019. A quasi sei mesi dalla firma ad Abu Dhabi del Documento sulla ‘Fratellanza Umana’, sottoscritto da Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb (3-5 febbraio 2019), ventidue leader e intellettuali musulmani sunniti, sciiti e sufi hanno firmato un testo di 15 pagine per ribadire il loro sostegno al Documento. Essi hanno inteso ribadire che l’unica via per la pace è la conoscenza reciproca. L’intento del recente testo, ha riferito l’Imam Pallavicini – è quello di esortare alla riflessione “sulla Dichiarazione, sul suo metodo, sul suo linguaggio: discuterne in modo fraterno, possibilmente critico, ma senza escludere apertamente il testo per ragioni ideologiche o politiche”. Il direttore del Coreis ha sottolineato che la firma di Abu Dhabi ha generato delle divisioni all’interno del mondo musulmano; non sono mancate critiche per l’iniziativa condotta dagli Emirati Arabi e portata avanti dal Grande Imam di Al-Azhar, ma alcuni esponenti religiosi hanno anche deciso di non sottoscrivere il testo: “La Fratellanza per la conoscenza e la cooperazione Chi ha firmato – ha spiegato Pallavicini – intende raccogliere l’invito a costruire una “fraternità umana” oltre i confini religiosi, l’intenzione è di “promuovere iniziative locali sulla base di questa dichiarazione”, anche “a livello accademico”, costituendo una “rete di sostegno al dialogo tra cristiani e musulmani”. Si tratta quindi di  “Un punto di partenza” e “di non ritorno”, come riportato da ‘La Croix’, perché il documento congiunto intende ribadire che la cultura del dialogo è la via per vivere in pace, conoscendosi reciprocamente.

L’iniziativa del testo di 15 pagine è dell’Imam Yahya Pallavicini, presidente della Coreis italiana (Comunità religiosa islamica), insieme all’Istituto di Studi Islamici in Francia e ad un piccolo gruppo di altri leader musulmani che avevano già firmato la Lettera dei 138 intellettuali musulmani a Papa Benedetto XVI, nel 2007, o alla Dichiarazione di Marrakesh sulle minoranze religiose nel 2016. Nel testo si definisce il Documento sulla Fratellanza Umana come “un evento istituzionale senza precedenti nella storia delle relazioni tra cristiani e musulmani”, il segno dell’apertura di una nuova fase orientata “verso il riconoscimento della legittimità e la provvidenziale diversità di rivelazioni, teologie, religioni, lingue e comunità religiose”. I ventidue leader e intellettuali musulmani hanno evidenziato come le diversità non siano più considerate “come una chiamata alla conquista o al proselitismo, o un pretesto per una semplice tolleranza di facciata”, ma piuttosto un’opportunità per mettere in pratica la fraternità che è “una vocazione contenuta nel piano di Dio per la creazione”. Pertanto, il dialogo interreligioso, che era già “raccomandato dal Corano”, appare oggi “vitale”. L’Imam Pallavicini ha puntualizzato che l’intento del testo è quello di esortare alla riflessione “sulla Dichiarazione, sul suo metodo, sul suo linguaggio: discuterne in modo fraterno, possibilmente critico, ma senza escludere apertamente il testo per ragioni ideologiche o politiche”. I firmatari – ha spiegato Pallavicini – hanno raccolto l’invito a costruire una “fraternità umana” oltre i confini religiosi, con l’intenzione di “promuovere iniziative locali sulla base di questa dichiarazione”, anche “a livello accademico”, costituendo una “rete di sostegno al dialogo tra cristiani e musulmani”.

20 luglio 2019. La Caritas e il Servizio di pastorale giovanile dell’arcidiocesi di Gaeta, all’interno di un progetto su mondialità e dialogo interculturale e interreligioso“Strade di umanità, Spirito, arte, pace…” ha promosso un viaggio in Senegal. Un gruppo di una decina di persone sta vivendo un’esperienza di incontro con una terra da cui vengono molti immigrati in Italia, con una cultura antica e da cui sono partiti molti schiavi verso le Americhe. “Sull’isola di Goree abbiamo potuto vedere – hanno raccontato i partecipanti nel diario di viaggio che pubblicano quotidianamente – il più importante centro di vendita e smistamento di schiavi dell’Africa. Da qui sono passati 20 milioni di schiavi e ne sono morti 6 milioni. Oggi è sede di un istituto di studi dove passano migliaia di giovani da tutta l’Africa. L’istituto unisce cultura e democrazia con l’arte. Perché, dicono, ‘dove la politica fallisce, l’arte aiuta a non dimenticare’”. Dakar, Touba, Saint Louis e il monastero benedettino di Keur Moussa sono alcune delle tappe dell’esperienza, che sta portando i partecipanti anche in realtà di servizio: dal centro per immigrati e rifugiati della Caritas di Dakar, segno di “un’accoglienza che è l’orgoglio dei senegalesi ed è una realtà possibile”, alla casa di fraternità ‘Kara Taize’, “da 25 anni in un quartiere popolare di Dakar a maggioranza islamica”. “Qui si incarna il meticciato e l’unità oltre ogni fede. L’entusiasmo di bambini e bambine che giocano insieme ci ha fatto respirare in Dio”, hanno affermato i partecipanti all’esperienza di solidarietà interreligiosa.

20 luglio 2019. I membri del movimento islamo-cristiano “Silsilah” — che in arabo significa catena — nato 35 anni fa sull’isola di Mindanao, nelle Filippine, dalla volontà di un sacerdote del Pontificio istituto missioni estere, padre Sebastiano D’Ambra hanno dimostrato che l’universo carcerario può diventare una piattaforma di dialogo tra le religioni e di sviluppo delle relazioni umani. L’impegno di Silsilah negli istituti penitenziari è iniziato diversi anni fa nel carcere della città di Zamboanga, situata a sud della penisola omonima, dove il gruppo ha potuto rafforzare sempre di più la sua attività di sensibilizzazione culturale, di formazione e di condivisione, il cui obiettivo è far incontrare cristiani e musulmani. Dopo alcuni anni, il movimento è stato invitato a condurre i propri progetti di formazione anche nella colonia penale di San Ramon, una delle più antiche delle Filippine, situata al di fuori della città di Zamboanga, lungo la costa. La cura di questa struttura è stata affidata da padre D’Ambra — che è anche segretario esecutivo della commissione per il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale filippina — a un gruppo di volontari dell’Emmaus dialogue movement, un gruppo cattolico affiliato al Silsilah, e a un imam, che insegna presso la madrasah di Silsilah. Gli operatori di Emmaus si occupano dei detenuti cristiani, mentre l’imam di quelli musulmani.

Recentemente si è concluso un ciclo di formazione di sei mesi, al quale hanno partecipato decine di detenuti, con la tradizionale cerimonia di consegna dei diplomi. Padre D’Ambra ha celebrato anche la messa, esprimendosi in cebuano, la lingua locale, parlata dalla maggioranza dei carcerati di San Ramon. L’omelia del missionario era dedicata al tema della speranza, presente — ha precisato — anche in un luogo come la colonia penale. Per una maggiore diffusione del contenuto e dei risultati della formazione proposta da Silsilah a San Ramon, il sacerdote ha usato la piattaforma Internet del suo movimento: sul sito si può leggere la testimonianza commovente di uno dei detenuti, con un ringraziamento caloroso agli operatori. “Ci hanno fatto sentire parte della società, anche se viviamo in carcere, un luogo che consideriamo una comunità differente — ha confidato il missionario —, sono arrivati e hanno aperto di nuovo le nostre menti, ricordandoci di dare valore alla nostra vita; che tutte le cose hanno senso e valore; che un giorno Dio ci permetterà di essere liberi e potremo finalmente tornare alle nostre amate famiglie”. Da più di quarant’anni nelle Filippine, Sebastiano D’Ambra ha pubblicato recentemente un libro, ‘Interreligious dialogue. The mission of dialogue and peace in the light of the beatitudes’, una sorta di vademecum in un mondo globalizzato e di violenza crescente. Edito in inglese dalla Claretian Communications Foundation, “vuole essere uno strumento di formazione al dialogo e di avvicinamento tra le religioni”. Il testo aiuta a valutare le spiritualità di altre fedi e allo stesso tempo a capire e a rispettare le differenze tra cristianesimo e islam in generale, in particolare nel contesto filippino.

25 luglio 2019. Il percorso di approfondimento del rapporto tra Chiese e povertà, offerto dalla 56ª sessione di formazione ecumenica del SAE (Segretariato attività ecumeniche) ad Assisi, ha dedicato una giornata al sotto-tema “Ospiti sulla terra dei viventi”, aperta dall’intervento biblico di Amedeo Spagnoletto, rabbino capo della Comunità ebraica di Firenze. Prendendo le mosse dal versetto di Levitico 25,23: “La terra è mia – dice il Signore – e voi siete presso di me come forestieri (gherim) e residenti (toshavim)”, ha ricordato rav Spagnoletto che nella visione ebraica prima del rapporto con Dio è fondamentale avere un buon rapporto tra gli esseri umani e nel creato. La proprietà della terra da parte di Dio è la garanzia che ci sia spazio per tutti. L’anno sabbatico, la cui istituzione è ricordata in Levitico 13, è l’emblema di questo rapporto tra l’essere umano e il creato, è il ritorno al proprietario originario. “Il Giubileo è un precetto – ha puntualizzato il rabbino – non ostico perché il popolo sa in partenza che la terra è di Dio e quindi va redistribuita nel 50° anno. Occorre che facciamo un lavoro su noi stessi per capire che siamo tasselli di un mosaico più grande di noi”.

di Lucia Antinucci

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