Immagini di Gesù Cristo nel cristianesimo primitivo

L’ultimo lavoro editoriale di padre Edoardo Scognamiglio, teologo e filosofo della Provincia religiosa di Napoli dei Frati Minori Conventuali, da sempre impegnato nel dialogo interreligioso e Ordinario di Cristologia presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, riguarda i volti di Gesù nel cristianesimo delle origini.

Si tratta di un saggio semplice, scritto con linguaggio diretto e immediato, accessibile a tutti, soprattutto adatto per quanti non hanno una formazione teologica o strettamente scientifica in ambito storico-critico. Cuore di questa pubblicazione è la Pasqua: solo a partire dall’annuncio della morte e risurrezione di Gesù Cristo è possibile riflettere sull’identità del Nazareno e scoprire i diversi volti che gli autori dei Vangeli e degli altri scritti del Nuovo Testamento ci hanno consegnato, mettendo in rilievo aspetti diversi ma non in contraddizione tra loro circa l’identità e la missione di Gesù.

Questo libro si candida ad essere un utile dono natalizio perché è incentrato sul modo con il quale le prime comunità cristiane hanno maturato una coscienza ecclesiale della fede con la morte e resurrezione di Gesù, proclamato (nel kerygma) Signore e Messia (Kyrios e Christos). L’autore spiega, con un racconto che trascina il lettore, come le immagini e i volti di Gesù Cristo che si possono tracciare dal punto di vista biblico, teologico e storico-critico nei primi quattro secoli hanno una radice comune: l’esperienza autentica e viva – ossia reale – che i discepoli hanno fatto di Gesù, il Crocifisso-Risorto. Uno dei primi titoli attribuiti a Gesù è quello di “Veniente”, ossia di “Colui che si rende presente allo spezzare del pane”. Cristo è presentato anche, nei Vangeli come il “Vivente” che non bisogna più cercare tra i morti.

In tre capitoli l’autore ripercorre il cammino delle comunità primitive nella conoscenza e comprensione della presenza di Gesù “fatto uomo”. Il cristianesimo indica una funzione della Chiesa, ossia una comunità già formata che esprime la fede in Gesù Cristo e ne celebra il culto. Da qui l’autore sviluppa un interessante discorso che evidenzia come la fede in Gesù Cristo e la stessa Chiesa non possono essere visti soltanto come reazione assolutamente nuova e autonoma degli uomini rispetto alla vicenda umana di Gesù: sono due realtà che si co-appartengono e che ritrovano nell’umano di Gesù una medesima traccia d’origine o radice (cf. pp. 6-20) .

La questione sul Gesù della storia e il Cristo della fede è posta nell’introduzione e sviscerata in buona sostanza nelle diverse fasi dello sviluppo dell’opera. Infatti, in relazione al Gesù della storia e al Cristo della fede, l’autore dice che “possiamo pacificamente affermare che gli inizi della cristologia neotestamentaria hanno due radici ben intrecciate tra loro”, a partire “dalla pasqua di resurrezione” (pp. 9-10). Le due radici sono: l’annuncio del Regno da parte di Gesù e l’annuncio della sua risurrezione da parte dei discepoli.

Il primo capitolo, “Alle origini della fede cristiana”, analizza otto fattori o premesse per comprendere il processo di evoluzione della fede e il passaggio dal kerygma al dogma. Si tratta dell’annuncio della fede o kerygma, della “Tradizione viva” o regula fidei, del depositum fidei, della storia come locus theologicus, della “santa radice” (continuità nella discontinuità circa il rapporto con Israele), della parusìa, della ratio o ragione teologica, del culto “in spirito e verità” e dell’azione dello Spirito Santo (cf. pp. 21-48). Il capitolo spiega come “l’evento Gesù è carico di significato escatologico e, quindi, si rivela originalissimo” (p. 21).

Il secondo capitolo, “Le sfide culturali”, sviluppa, partendo dalle esperienze teologiche dei primi quattro secoli, il concetto di Logos, “principio attivo del mondo che anima”, funzionale alla comprensione della natura divina di Cristo. Il capitolo offre una visione completa delle correnti teologiche primitive cosi come dei movimenti “sincretici interessati all’unanimità di Gesù o, per contrario, volti a negarla” (p. 49). Il secondo capitolo si sviluppa in cinque paragrafi: le teologie del Logos e la cristologia pre-nicena; il Logos in ogni uomo (Logos spermatikos); il Logos dell’alleanza (Logos protreptikos); il Logos rivelatore (Logos emphytos); Visioni eterodosse: la definizione di “eresia”.

Il capitolo, partendo da Filone d’Alessandria, sviluppa le visioni del Logos, ovvero di Gesù, “Verbo venuto nella carne” (p. 52), “Verbo incarnato” che è presso il Padre e presso l’uomo (p. 55). Da qui ne diviene come “il Logos di Dio è in ogni uomo” (p. 56) “grazie al seme del Verbo che è innato in ogni razza umana” (p. 57). Il tema della salvezza è posto in evidenza partendo dall’esperienza di Clemente d’Alessandria (pp. 59-64). Con sant’Ireneo s’introduce nel capitolo la presentazione di un nuovo filone della teologia della storia dove si evidenzia come il messaggio cristiano è indissolubilmente legato alla storia della salvezza e la redenzione storica di Gesù Cristo forma il centro d’una linea che va dall’Antico Testamento sino al ritorno finale di Cristo (cf. pp. 64-70). Nell’ultima parte del capitolo, presentando ben 17 esperienze di movimenti eretici o comunque di gruppi cristiani con tendenze eterodosse, viene introdotto e sviluppato il concetto di “eresia” partendo dalla conoscenza etimologica e dalla sua applicazione storica e culturale (pp. 70-88).

Il terzo capitolo offre la diretta esperienza conciliare, da qui il titolo “Da Nicea a Calcedonia” (pp. 89-127). Il capitolo concentra la sua attenzione partendo dal processo ermeneutico della fede, dove i Padri della Chiesa e gli autori cristiani antichi hanno elaborato un “metodo teologico assieme a un modo particolare di fare esegesi” (p. 89). Nel corso del capitolo si affronta in modo molto chiaro e al contempo completo la funzione storica dei concili dei primi secoli del cristianesimo e si analizzano i risultati raggiunti: il dogma non è mai un meteorite che spunta dall’alto, ma sempre la lenta affermazione di una visione di fede che tiene conto del vissuto liturgico e teologico delle comunità cristiane del passato. Le definizioni dogmatiche, come quelle di Nicea, Efeso, Calcedonia, Costantinopoli II e III, sono dei punti fermi da cui partire per poi proseguire nella riflessione sull’identità e missione di Gesù Cristo. Il dogma non è mai una verità assoluta calata dall’alto, bensì una certezza di fede che matura nel contesto ecclesiale della fede e di un corpus vivendi che è la Chiesa, ossia lo stesso cristianesimo che è la forma storica definitiva del Cristo risorto nel mondo. In questo ultimo capitolo si “afferma esplicitamente che la persona del Verbo, con l’atto stesso dell’incarnazione, si è autenticamente umanizzata nel suo atto d’essere persona, perché da quel preciso istante dell’incarnazione il soggetto ultimo di tutte le azioni e passioni del Cristo non è il Verbo preso o pensato da solo, bensì il Verbo umanizzato” (p. 108).

Interessante è la trattazione del termine e della funzione di “persona”, e la visione e contributo che ne fanno sia dottori come san Tommaso d’Aquino che filosofi come Aristotele (cf. pp. 112-127).

Nell’immediata, molto discorsiva e completa nonché coinvolgendo conclusione, l’autore chiarisce come “le pagine del Nuovo Testamento e gli scritti dei teologi cristiani ci hanno consegnato un volto pluriforme di Gesù Cristo, nel complesso tentativo – spesso ben riuscito – di coniugare la radice storica dell’uomo Gesù con quella divina, ossia teologica” (p. 129).

Nelle conclusioni, sulla scorta di tutta l’indagine svolta lungo i tre capitoli su indicati, si chiarisce come “il cristianesimo delle origini ha già raccolto la sfida del dialogo e del confronto e ha tentato di rispondere con le stesse funzioni conciliari, dando origine a quel duplice movimento o scambio che si esprime nel binomio inculturazione/evangelizzazione” (p. 129). Il testo offre una visione globale della cristologia delle origini dove, così come avviene a tutt’oggi, “si pone in un rinnovato e non facile dialogo con gli uomini e la società del tempo” (p. 129). Si ripercorrono, nelle conclusioni, le teologie del Logos, così come si promuove l’azione dei Padri della Chiesa impegnati nell’indagare la presenza di una storia salvifica antecedentemente a Gesù. Il testo spiega come Gesù, il Cristo, sia la “forma definitiva di Dio nella storia” e che la sua essenza presenza non può essere vista che “nella vita della Chiesa” a cui deve rivolgersi l’uomo che cerca e/o vive e vuole vivere l’esperienza della fede cristiana nell’attesa della manifestazione gloriosa del Signore Gesù, il Crocifisso-Risorto.

Il professore Scognamiglio spiega che, “per far fronte alle carenze di ogni definizione dogmatica, occorre rileggere l’identità di Gesù alla luce del dato storico-pasquale che ci è consegnato nei Vangeli” (p. 136); infatti, “come comunità della fede, la Chiesa è una comunità nella parola della confessione. Perciò, l’unità nelle parole fondamentali della fede fa anche parte, diacronicamente come sincronicamente, dell’unità della Chiesa” (p. 137).

E. Scognamiglio, Immagini di Gesù Cristo nel cristianesimo primitivo, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2014, pp. 144, € 14.

Di Prof. Michele Schioppa, giornalista de “L’Eco di Caserta” – Maddaloni (Ce).

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