Il corpo e la morte nel Buddhismo

Il Buddhismo si è diffuso a partire dal V sec. a.C. dal nord dell’India in tutta l’Asia e poi nel resto del mondo. Nell’India di quel tempo, come ancora oggi, i rituali funebri prevedevano la cremazione del cadavere, ma la religione buddhista ha mostrato in molti aspetti la capacità di adattare le sue forme e i suoi riti alla cultura dei paesi dove si diffondeva, per cui il trattamento del corpo dei defunti non ha indicazioni specifiche e segue le usanze del luogo.

Nella visione buddhista, la nascita in un corpo umano è considerata preziosa perché offre alla coscienza una rara opportunità di evolversi verso la completa illuminazione; ma nel momento in cui, con la morte, la coscienza abbandona il corpo, questo perde ogni importanza. Quindi, non bisogna conservare attaccamento verso il corpo fisico che ora è visto solo come materia in decomposizione: tutta l’attenzione si sposta sul percorso della coscienza, impegnata ad attraversare diverse fasi verso una successiva rinascita, durante le quali può essere aiutata e guidata con specifiche pratiche.

Diversa è l’attenzione rivolta al corpo di uno yogi tantrico o a quello di un maestro totalmente realizzato.

Nella tradizione Vajrayana del Buddhismo tibetano e nello Dzogchen, lo yogi si allena a controllare i flussi energetici del corpo per sviluppare le più profonde capacità della mente ordinaria con il fine di risvegliare il riconoscimento della reale natura della nostra mente, lo stato del Buddha presente in ogni essere senziente: rig-pa in tibetano. In alcuni praticanti, questo processo continua anche per alcuni giorni dopo che si è interrotto il respiro e il loro corpo resta nella posizione di meditazione conservando un tenue calore fino a quando il collo non si reclina, segno che indica la definitiva uscita della coscienza: fino a quel momento il corpo del praticante non deve essere disturbato.

A volte, negli yogi più avanzati, durante questa fase, il corpo si riduce progressivamente di volume; nei monasteri del Tibet sono conservati alcuni di questi corpi, che divengono oggetto di venerazione similmente a quello dei santi nel Cristianesimo.

Un segno di completa realizzazione è il “corpo di arcobaleno” che viene manifestato da alcuni praticanti dello Dzogchen. In questi casi, lo yogi è in grado di integrare l’aspetto materico del corpo nella dimensione energetica della luce, per cui il suo corpo si dissolve completamente unendosi alla dimensione dello spazio o lasciando solo tracce di parti meno vitali come i capelli. Questo fenomeno, descritto per alcuni maestri del passato, si è verificato anche in tempi recenti, dopo l’occupazione cinese del Tibet, ed è stato documentato da alcuni autori.

Un’accurata ricerca su uno di questi casi è stata pubblicata da Don Francis Tiso nel libro Rainbow Body and Resurrection.

del dott. Luigi Vitiello

 

 

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