Ritornare al Signore con tutto il cuore

<Ritornare al Signore con tutto il cuore> (Gioele 2,12)

Lectio divina per il tempo di Quaresima

 

  

[12] Or dunque – parola del Signore –
ritornate a me con tutto il cuore,
con digiuni, con pianti e lamenti”.

[13] Laceratevi il cuore e non le vesti,
ritornate al Signore vostro Dio,
perché egli è misericordioso e benigno,
tardo all’ira e ricco di benevolenza
e si impietosisce riguardo alla sventura.

[14] Chi sa che non cambi e si plachi
e lasci dietro a sé una benedizione?
Offerta e libazione per il Signore vostro Dio.

[15] Suonate la tromba in Sion,
proclamate un digiuno,
convocate un’adunanza solenne.

[16] Radunate il popolo, indite un’assemblea,
chiamate i vecchi,
riunite i fanciulli, i bambini lattanti;
esca lo sposo dalla sua camera
e la sposa dal suo talamo.

[17] Tra il vestibolo e l’altare piangano
i sacerdoti, ministri del Signore, e dicano:
“Perdona, Signore, al tuo popolo
e non esporre la tua eredità al vituperio
e alla derisione delle genti”.
Perché si dovrebbe dire fra i popoli:
“Dov’è il loro Dio?”.

[18] Il Signore si mostri geloso per la sua terra
e si muova a compassione del suo popolo.



 

 

 

1. Contesto storico-letterario: il giorno di Jhwh

 

Ci troviamo all’interno della sezione che annuncia il terribile giorno di Jhwh ed è il profeta a parlare nel nome del Signore. Egli dà l’annunzio con il suono di trombe (corni) – come segnali di guerra – per tutti i popoli della terra. Dopo la visione del prossimo giorno di Jhwh (cf. 1,15-20), il profeta passa ora alla descrizione della sua realizzazione. La descrizione è fatta con immagini prese dall’avvicinarsi di un esercito invasore, che attacca una città e la conquista. Dopo l’invito a suonare la tromba, perché il giorno di Jhwh è alle porte come un terribile esercito, lo si descrive come un popolo forte e numeroso quant’altri mai, si accenna alla sua potenza distruttrice, al suo aspetto simile a quello di cavalli e cavalieri a galoppo, al fragore di carri da guerra, al crepito di una fiamma e all’impeto con cui attacca battaglia. Si accenna poi ai popoli che si contorcono e le cui facce si scolorano al suo arrivo.

Il profeta ritorna, quindi, alla descrizione del giorno del Signore sotto l’immagine dell’esercito quando va all’assalto in ordine, quando si scontra con i difensori, quando penetra come un ladro nella città e nelle case. Non soltanto la terra, ma anche gli elementi celesti si scuotono. Si tratta, infatti, di Jhwh e del suo terribile esercito, cioè del suo irresistibile giorno.

Al centro del capitolo secondo vi è il v. 6 che fa riferimento al terrore e allo sbigottimento di tutti i popoli. Viene descritto il terrore dei popoli. Vi è una certezza di fondo: il giorno di Jhwh si sta avvicinando. La vicinanza è intesa diversamente da noi: è già in atto. Si tratta di un dominio invisibile ma efficace di Dio nella storia. Questa presenza del regno di Dio è una realtà ben configurata che provoca conseguenze. Anche se è solo una realtà in potenza.

Il giorno del Signore viene come un esercito invasore che al mattino colpisce per la sua grande estensione. Jhwh è una grande potenza distruttrice. Il giorno di Dio prende consistenza nella raffigurazione di un popolo numeroso e forte che non è mai esistito e mai esisterà così. C’è un’analogia con gli insetti divoratori di 1,6. Ciò indica un flagello in atto. Comunque, l’attenzione non  al flagello come per gli insetti, bensì al fatto che si tratta di un evento unico e straordinario nella storia dell’umanità. È Jhwh a guidare questo esercito straordinario. Jhwh è come l’aurora che si stende sui monti. Non è una nube nera come alcuni vogliono interpretare in senso negativo. L’evento avviene come la prima luce del giorno…

Continua la descrizione del giorno di Jhwh come del passaggio del suo esercito: dopo di lui vi è il deserto. Davanti a lui il fuoco che divora, e dietro di lui la fiamma che consuma. Prima di lui il giardino dell’Eden, dopo di lui, dietro, il deserto. Non c’è scampo al passaggio dell’esercito-giorno di Jhwh

 

2. Chi è questo profeta?

 

Sappiamo solamente che Gioele è figlio di un certo Petuel (1,1). Il nome di Gioele significa: “Jhwh è Dio”. La famiglia doveva essere della Giudea: perché l’orizzonte della sua predicazione è Gerusalemme e la sua collina. Ha una conoscenza particolare della liturgia e dei riti, quindi era Gioele in contatto con il gruppo dei sacerdoti del tempio. Forse apparteneva al circolo dei profeti cultuali. La prima parte del suo libro è legata alla straordinaria visione dell’invasione delle cavallette. Tale disastro avrà fine solamente con la conversione e la penitenza. Egli invita i sacerdoti a promuovere una solenne liturgia penitenziale. Il secondo capitolo rientra in questo invito, anzi in un secondo invito di pubblica e solenne liturgia penitenziale. Ci troviamo dopo l’esilio, tra il 500 e il 400 a.C.

Il profeta Gioele esercita la sua missione, probabilmente, molto tempo dopo l’esilio, quando un’invasione di cavallette distrugge completamente il paese: <La campagna è una rovina, la terra piange, perché il grano è devastato; è venuto a mancare il vino nuovo e gli ulivi non danno frutto> (1,10).

Preso da tanta tristezza, il profeta invita tutti a rivolgersi a Dio con digiuni e preghiere e a disporsi a una sincera conversione: <Cingete il cilicio e piangete, o sacerdoti; urlate, ministri dell’altare; venite, vegliate vestiti di sacco… Proclamate un digiuno, convocate l’assemblea, adunate gli anziani nel Tempio del Signore e invocatelo a gran voce> (1,13-14).

Nella parola del profeta, la devastazione delle cavallette appare il segno della giustizia del Signore, che castiga i colpevoli. Lancia, perciò, un appello a ritornare a Dio, cambiando la propria vita e attuando un programma di conversione (cf. 2,12-17).

Passata la prova, sul popolo che sarà tornato al Signore con tutto il cuore, scenderà lo Spirito creatore e vivificatore a inaugurare l’era nuova di grazia e di salvezza: <Dopo questo, io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie… Anche sopra gli schiavi e le schiave, in quei giorni, io effonderò il mio spirito… Chiunque invocherà il nome del Signore, sarà salvato, poiché sul monte Sion e in Gerusalemme vi sarà la salvezza, come ha detto il Signore> (3,1-5).

Il profeta Gioele riappare nella nostra liturgia sia all’inizio della Quaresima sia per il giorno di Pentecoste. In quest’ultimo evento, Pietro parlando agli ebrei, dirà che il dono delle lingue, ricevuto dagli apostoli, è la realizzazione piena di questa profezia di Gioele (cf. At 2,17-21). Finalmente, a coronamento di così grandiosi eventi, seguirà il giudizio di Dio che, sfidando tutte le forze avverse, segnerà sovrano per sempre (cf. Gl 4).

Messaggio centrale del profeta Gioele: tornare al Signore con tutto il cuore. La sua provvidenza è infinita.

 

3. Esegesi del testo

 

C’è, anzitutto, un invito alla penitenza. Davanti alla tremenda realtà del giorno di Jhwh, il profeta invita a far atti di penitenza e a convertirsi perché Dio annulli il suo giudizio. C’è un richiamo a Dt 4,29: <Ma di là cercherai il Signore tuo Dio e lo troverai, se lo cercherai con tutto il cuore e con tutta l’anima>.

Ancor prima, in Dt 4,23-28:

 

[23] Guardatevi dal dimenticare l’alleanza che il Signore vostro Dio ha stabilita con voi e dal farvi alcuna immagine scolpita di qualunque cosa, riguardo alla quale il Signore tuo Dio ti ha dato un comando.
[24] Poiché il Signore tuo Dio è fuoco divoratore, un Dio geloso.
[25] Quando avrete generato figli e nipoti e sarete invecchiati nel paese, se vi corromperete, se vi farete immagini scolpite di qualunque cosa, se farete ciò che è male agli occhi del Signore vostro Dio per irritarlo,

[26] io chiamo oggi in testimonio contro di voi il cielo e la terra: voi certo perirete, scomparendo dal paese di cui state per prendere possesso oltre il Giordano. Voi non vi rimarrete lunghi giorni, ma sarete tutti sterminati.
[27] Il Signore vi disperderà fra i popoli e non resterete più di un piccolo numero fra le nazioni dove il Signore vi condurrà.
[28] Là servirete a dei fatti da mano d’uomo, dei di legno e di pietra, i quali non vedono, non mangiano, non odorano.



Ecco il contenuto dell’oracolo di Jhwh (il ritorno è un’esigenza radicale della fede):

a)        Tornare a lui con tutto il cuore: cf. Dt 30,10: <quando obbedirai alla voce del Signore tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge; quando ti sarai convertito al Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima>

b)        Tornare a lui con digiuno, pianto, lutto: sono i modi attraverso i quali si determina la conversione del cuore. Sono atti di lamentazione innanzi a una calamità ma anche atti di penitenza per colpe commesse. Qui non sono indicate colpe particolari: c’è in atto un rilassamento generale dello spirito e di tutta la comunità. Gli atti indicati dicono in quale direzione occorre andare: il ritorno è verso i comandamenti del Signore, verso la sua strada, via della vita.

La conversione è un atto dello spirito che avvolge tutta l’esistenza e il proprio modo di essere e d’agire. Prima di tutto consiste nella presa di coscienza di una decisione che riguarda la verità. Il cuore, per i semiti, è la sede della conoscenza e della ragione e del pensiero. La volontà deve piegarsi alla luce dell’intelligenza. Non è una conoscenza astratta, bensì un’esperienza vissuta, di fede, concreta. Il cuore è anche la sede dei sentimenti.

c)         Spezzare il cuore: è un’immagine presa dall’uso di spezzare le vesti in segno di tristezza e di lutto (cf. Gen 37,29; 44,13; Nm 14,6; Gs 7,6; Gdc 11,35). Il profeta insiste perché l’atto della penitenza si compia nel cuore, sia sincero (cf. Is 4,4; Sal 51,19; Ez 36,26; Zc 7,12). Non è sufficiente una conversione esteriore che coincide con lo strappo delle vesti. La conversione ha un senso religioso. Si tratta di ritornare al Signore e non alle nostre vie o convinzioni.

d)        La speranza: il profeta dà una speranza: Dio potrebbe avere pietà e ricredersi. Dio è misericordioso, compassionevole, lento all’ira. Se anche il male è il giusto castigo del peccato, Dio sa cambiare. Cf. Giona 4,2. Il profeta vuole spingere alla conversione innanzi all’imminente catastrofe. Gi 4,2: <Pregò il Signore: “Signore, non era forse questo che dicevo quand’ero nel mio paese? Per ciò mi affrettai a fuggire a Tarsis; perché so che tu sei un Dio misericordioso e clemente, longanime, di grande amore e che ti lasci impietosire riguardo al male minacciato>. Se Dio si ricrede, cambia atteggiamento, il male minacciato si trasforma in benedizione. L’offerta e la libagione rientrano nelle benedizioni agricole.

e)         Il suono delle trombe:  è l’invito alla solenne liturgia penitenziale. Il suono del corno annuncia qualcosa di importante. Sono invitate tutte le categorie di persone. Il suono non è per una convocazione bellica ma per la penitenza: Nm 10,10: <Così anche nei vostri giorni di gioia, nelle vostre solennità e al principio dei vostri mesi, suonerete le trombe quando offrirete olocausti e sacrifici di comunione; esse vi ricorderanno davanti al vostro Dio. Io sono il Signore vostro Dio”>. il tempio è, evidentemente, il luogo del raduno o adunanza.

f)          Tutto il popolo deve partecipare a questo rito penitenziale e alla conversione. Fanciulli e lattanti, adulti e anziani, lo sposo e la sposa. È un’adunanza universale. In caso di convocazione bellica non tutti avrebbero quest’obbligo di adunanza. Ma essendo per motivi religiosi, tutti devono partecipare. Gli ultimi invitati sono i sacerdoti stessi, non per riunirsi, ché già lo sono. Ma per compiere i riti di penitenza, o meglio per guidare i convocati nel compimento del rito di penitenza. Lo spazio dell’adunanza è tra il vestibolo e l’altare, cioè tra il portico e l’altare degli olocausti. È lo spazio della corte e si trovava ad est del vestibolo stesso del tempio. Qui si compie il rito.

g)         C’è il pianto dei sacerdoti affinché Dio sia misericordioso e Israele non diventi lo scherno degli altri popoli che è un male maggiore rispetto alle calamità naturali. Ci si appella a Dio stesso: se Dio non difende il suo popolo, i popoli stranieri potrebbero deriderlo e chiedere: Dove è il vostro Dio?

h)        Alla base di tutti i motivi che spingono Jhwh a soccorrere Israele e anche a perdonarlo, come nella presente situazione, c’è lo zelo per il suo popolo. Dio rimane fedele all’alleanza.  Lo zelo di Jhwh è amore appassionato, fedele, viscerale, totale, pieno, misericordioso. Dio è geloso: non permette ad altri dèi o popoli di impossessarsi di Israele, popolo eletto. Dio è geloso di Israele, sua esclusiva proprietà. Cf. Es 19,5: <Ora, se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra!>. discorso tenuto da Dio attraverso Mosè al terzo mese dall’uscita dall’Egitto.

Sintesi: Dio ama ciò che elegge. Dio rimane fedele al popolo eletto. Noi eleggiamo ciò che amiamo. Dio ama ciò che elegge. Egli è stabile.

 

4. Suggerimenti per la Quaresima

 

a)       Tornare al Signore con tutto il cuore significa riscoprire anzitutto il nostro battesimo come passaggio a vita nuova…

b)      Fare penitenza significa recuperare la via del Signore e riconoscere i nostri idoli

c)       Conversione del cuore è liberazione dal male e dai peccati

d)      Spunti dal Messaggio di papa Benedetto XVI per la Quaresima 2011: <Con Cristo siete sepolti nel Battesimo, con lui siete anche risorti> (cf. Col 2,12).

                San Paolo, nelle sue Lettere, insiste ripetutamente sulla singolare comunione con il Figlio di Dio realizzata in questo lavacro.

                La misericordia di Dio, che cancella il peccato e permette di vivere nella propria esistenza “gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (Fil 2,5), viene comunicata all’uomo gratuitamente.

                L’Apostolo delle genti, nella Lettera ai Filippesi, esprime il senso della trasformazione che si attua con la partecipazione alla morte e risurrezione di Cristo, indicandone la meta: che “io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti” (Fil 3,10-11).

                Il Battesimo, quindi, non è un rito del passato, ma l’incontro con Cristo che informa tutta l’esistenza del battezzato, gli dona la vita divina e lo chiama ad una conversione sincera, avviata e sostenuta dalla Grazia, che lo porti a raggiungere la statura adulta del Cristo.

                Questo dono gratuito deve essere sempre ravvivato in ciascuno di noi e la Quaresima ci offre un percorso analogo al catecumenato, che per i cristiani della Chiesa antica, come pure per i catecumeni d’oggi, è una scuola insostituibile di fede e di vita cristiana: davvero essi vivono il Battesimo come un atto decisivo per tutta la loro esistenza.

                Per intraprendere seriamente il cammino verso la Pasqua e prepararci a celebrare la Risurrezione del Signore – la festa più gioiosa e solenne di tutto l’Anno liturgico – che cosa può esserci di più adatto che lasciarci condurre dalla Parola di Dio?

                La prima domenica dell’itinerario quaresimale evidenzia la nostra condizione dell’uomo su questa terra.

                Il Vangelo della Trasfigurazione del Signore pone davanti ai nostri occhi la gloria di Cristo, che anticipa la risurrezione e che annuncia la divinizzazione dell’uomo.

                La domanda di Gesù alla Samaritana: “Dammi da bere” (Gv 4,7), che viene proposta nella liturgia della terza domenica, esprime la passione di Dio per ogni uomo e vuole suscitare nel nostro cuore il desiderio del dono dell’ “acqua che zampilla per la vita eterna” (v. 14): è il dono dello Spirito Santo.

                La “domenica del cieco nato” presenta Cristo come luce del mondo. Il Vangelo interpella ciascuno di noi: “Tu, credi nel Figlio dell’uomo?”. “Credo, Signore!” (Gv 9,35.38), afferma con gioia il cieco nato, facendosi voce di ogni credente. Il miracolo della guarigione è il segno che Cristo, insieme alla vista, vuole aprire il nostro sguardo interiore.

                Quando, nella quinta domenica, ci viene proclamata la risurrezione di Lazzaro, siamo messi di fronte al mistero ultimo della nostra esistenza: “Io sono la risurrezione e la vita… Credi questo?” (Gv 11,25-26).

                Il percorso quaresimale trova il suo compimento nel Triduo Pasquale, particolarmente nella Grande Veglia nella Notte Santa: rinnovando le promesse battesimali, riaffermiamo che Cristo è il Signore della nostra vita.

                Il nostro immergerci nella morte e risurrezione di Cristo attraverso il Sacramento del Battesimo, ci spinge ogni giorno a liberare il nostro cuore dal peso delle cose materiali, da un legame egoistico con la “terra”, che ci impoverisce e ci impedisce di essere disponibili e aperti a Dio e al prossimo.

                Attraverso le pratiche tradizionali del digiuno, dell’elemosina e della preghiera, espressioni dell’impegno di conversione, la Quaresima educa a vivere in modo sempre più radicale l’amore di Cristo. Il digiuno, che può avere diverse motivazioni, acquista per il cristiano un significato profondamente religioso: rendendo più povera la nostra mensa impariamo a superare l’egoismo per vivere nella logica del dono e dell’amore.

                La bramosia del possesso provoca violenza, prevaricazione e morte; per questo la Chiesa, specialmente nel tempo quaresimale, richiama alla pratica dell’elemosina, alla capacità, cioè, di condivisione. La pratica dell’elemosina è un richiamo al primato di Dio e all’attenzione verso l’altro, per riscoprire il nostro Padre buono e ricevere la sua misericordia.

                La preghiera ci permette anche di acquisire una nuova concezione del tempo: senza la prospettiva dell’eternità e della trascendenza.

                In sintesi, l’itinerario quaresimale, nel quale siamo invitati a contemplare il Mistero della Croce, è “farsi conformi alla morte di Cristo” (Fil 3,10), per attuare una conversione profonda della nostra vita: lasciarci trasformare dall’azione dello Spirito Santo, come san Paolo sulla via di Damasco; orientare con decisione la nostra esistenza secondo la volontà di Dio; liberarci dal nostro egoismo, superando l’istinto di dominio sugli altri e aprendoci alla carità di Cristo. Il periodo quaresimale è momento favorevole per riconoscere la nostra debolezza, accogliere, con una sincera revisione di vita, la Grazia rinnovatrice del Sacramento della Penitenza e camminare con decisione verso Cristo.

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