Il ruolo della famiglia nella società e nella vita politica

Il ruolo della famiglia nella società e nella vita politica

tra sfide e cambiamenti

 

 

«La famiglia nei tempi odierni è stata, come e forse più di altre istituzioni, investita dalle ampie, profonde e rapide trasformazioni della società e della cultura. Molte famiglie vivono questa situazione nella fedeltà a quei valori che costituiscono il fondamento dell’istituto familiare. Altre sono divenute incerte e smarrite di fronte ai loro compiti o, addirittura, dubbiose e quasi ignare del significato ultimo e della verità della vita coniugale e familiare. Altre, infine, sono impedite da svariate situazioni di ingiustizia nella realizzazione dei loro fondamentali diritti»[1].

L’istituto della famiglia è sempre più oggetto di studio e di analisi socio-culturali, come anche di ricerche e di approfondimenti politici e religiosi. Spesso è messo in discussione lo stile di vita cristiano della famiglia, cioè la proposta dei valori del Vangelo all’interno di quella che è, per noi, la Chiesa domestica. Proprio nel momento in cui l’istituzione familiare si trova ad essere indebolita e messa in discussione in quelle che sembravano le sue evidenze antropologiche ed etiche, siamo portati a riscoprire le cose di fondo di cui la famiglia è custode per l’intera avventura umana e, insieme, l’urgenza di una rinnovata proposta del Vangelo cristiano sulla famiglia. È su questo sfondo che l’opera pastorale delle comunità ecclesiali a favore della famiglia è chiamata a rinnovarsi.

La famiglia è, per l’uomo, il luogo delle forme primarie delle relazioni umane: quelle tra uomo e donna e tra genitori e figli. In queste relazioni ed esperienze primarie si danno i significati e i legami fondamentali e si fanno gli apprendimenti decisivi: la differenza fondatrice di ogni alleanza e la promessa che dischiude la vita alla speranza. Queste esperienze fondatrici di un senso buono della vita e di un legame fiducioso con l’avventura umana comune, che hanno la loro radice nei legami familiari, dovrebbero poi essere confermate dalla cultura e dai processi di socializzazione. In realtà, la cultura post-moderna – segnata dal relativismo –, per le sue caratteristiche di funzionalità e complessità dei rapporti e di esaltazione dell’individuo, nasconde e rende fragili i rapporti umani e le relazioni interpersonali a ogni livello. È una cultura che indebolisce i legami e la durata, l’istituzione e la forza del gruppo, e affida la solidità della famiglia quasi esclusivamente al desiderio di felicità del singolo e al suo sentimento.

 È come se le persone, che continuano a fare in qualche modo quelle esperienze fondamentali fondate nelle relazioni primarie della famiglia, si trovassero poi smarrite come individui in una società complessa che s’interessa solo dell’organizzazione funzionale e quasi burocratica dei rapporti sociali e dei diritti individuali, ma non si prende cura degli aspetti antropologici ed etici che stanno alla base del costume e dell’istituzione famigliare. Questa separazione tra il pubblico e il privato, oltre a indebolire l’individuo e la sua esperienza morale, rende difficile alla società la regolazione giuridica di tanti aspetti della vita matrimoniale e familiare sui quali essa è chiamata a decidere senza potersi basare su un ethos e su una cultura condivisi[2].

 

 

1. I compiti difficili della famiglia

 

A motivo dei cambiamenti culturali, sociali e politici tuttora in atto, la famiglia è chiamata a compiti piuttosto ardui e complessi. Ai cambiamenti sociali seguono il mutare della tecnica, le sue applicazioni e l’introduzione di certi strumenti (informatica, telecomunicazioni, internet) costringe a ridefinire gli stili di vita lavorativi, il tempo libero, i consumi, le relazioni. È il tempo della “velocità”, degli scambi rapidi: le persone accelerano i loro ritmi e sono sempre alla ricerca di attività che li facciano sentire vive, protagoniste, con poco tempo a disposizione, ritenuto prezioso sì, ma finalizzato al fare e al produrre, dove le relazioni sono intese strumentali per questo progetto. Che questi ritmi coinvolgano le relazioni familiari è diventato ormai una costante: basti pensare al tempo delle relazioni nella coppia e con i figli, parenti e amici.

Una società “liquida”, in cui le relazioni si fanno sempre più fragili, le diverse forme del sociale, tra questi anche la famiglia, si frammentano, si scompongono, si trasformano in continuazione. Società in cui le forme del consumo hanno contaminato profondamente le stesse relazioni, dove gli oggetti hanno sostituito il piacere dell’incontro, la vicinanza con l’altro. Un mondo in cui tutto appare e si spende attraverso i mass media. I sentimenti durano quanto il battito d’ala di una farfalla, le emozioni effimere trovano legittimità solo se sono forti, se inebriano, se “sballano”. Uomini e donne viaggiano con bagaglio leggero, sempre pronti a cogliere al meglio le occasioni che possono dare la felicità; sempre pronti a disfarsi dei vincoli di qualsiasi genere. Viviamo il tempo dell’amore liquido: ciò che conta è adeguarsi ai sentimenti e alle voglie del momento[3].

Quasi certamente, questo cambio di paradigma ha le sue radici nel processo stesso della globalizzazione. Tale fenomeno ha rimesso in discussione gli stili di vita del nostro sistema sociale. Con forza abbiamo dovuto prendere coscienza che alcuni temi del vivere non possono essere affrontati più in termini localistici e intimistici. Si tratta di una rivoluzione che investe tutti i campi del sociale, da quello economico, forse quello più evidente, insieme all’accoglienza di cittadini provenienti dai paesi più poveri, a quello politico, del lavoro, dei diritti, dell’ecologia, della pace. In queste trasformazioni e cambiamenti, la “famiglia” non poteva che essere oggetto di rivisitazioni nelle relazioni. L’aumento di separazioni e divorzi in Italia, ad esempio, ne è la dimostrazione più significativa. Un fenomeno emergente, in parte previsto, come da esperienze di altri paesi del Nord America e d’Europa.

 Il sistema famiglia, in questi anni, cerca di andare al riparo, di reggere a una cultura che la vuole in crisi, in via di estinzione: forma superata, chiusa, non adeguata al nuovo millennio. È proprio in questo scenario che la coppia coniugale e genitoriale, si trova a vivere ruoli e compiti difficili. Consapevoli, sempre più spesso, di non essere in grado di continuare nell’impegno preso con il partner e con i figli, chiedono un aiuto alle istituzioni, la cui risposta sovente è balbettante o assente.

Tra i diversi cambiamenti che la famiglia cristiana deve affrontare, emerge quello educativo. I genitori, con fatica, cercano quotidianamente di rispondere alle esigenze che i figli esprimono e sollecitano. Compito che si prefigura spesso come una sfida per la coppia. Il processo educativo non è esclusivo della sola famiglia: la scuola, gli oratori, le parrocchie, e tutti gli spazi della cultura e della socialità devono, in sinergia, contribuire alla formazione della cittadinanza. È pur vero che ciò è possibile solo se c’è un’alleanza tra i diversi attori e primariamente tra gli stessi genitori. La coppia dei genitori necessita di una condivisione progettuale alta, di accordi e stili relazionali condivisi, di strategie e riferimenti forti, che attraverso l’esempio e la testimonianza possono mettere in scena con i propri figli.

La situazione in cui versa la famiglia presenta aspetti positivi e aspetti negativi: segno, gli uni, della salvezza di Cristo operante nel mondo; segno, gli altri, del rifiuto che l’uomo oppone all’amore di Dio. Da una parte, infatti, vi è una coscienza più viva della libertà personale, e una maggiore attenzione alla qualità delle relazioni interpersonali nel matrimonio, alla promozione della dignità della donna, alla procreazione responsabile, alla educazione dei figli; vi è inoltre la coscienza della necessità che si sviluppino relazioni tra le famiglie per un reciproco aiuto spirituale e materiale, la riscoperta della missione ecclesiale propria della famiglia e della sua responsabilità per la costruzione di una società più giusta. Dall’altra parte, tuttavia, non mancano segni di preoccupante degradazione di alcuni valori fondamentali: una errata concezione teorica e pratica dell’indipendenza dei coniugi fra di loro; le gravi ambiguità circa il rapporto di autorità fra genitori e figli; le difficoltà concrete, che la famiglia spesso sperimenta nella trasmissione dei valori; il numero crescente dei divorzi; la piaga dell’aborto; il ricorso sempre più frequente alla sterilizzazione; l’instaurarsi di una vera e propria mentalità contraccettiva. Alla radice di questi fenomeni negativi sta spesso una corruzione dell’idea e dell’esperienza della libertà, concepita non come la capacità di realizzare la verità del progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia, ma come autonoma forza di affermazione, non di rado contro gli altri, per il proprio egoistico benessere.

La famiglia ha la missione di diventare sempre più quello che è, ossia comunità di vita e di amore, in una tensione che, come per ogni realtà creata e redenta troverà il suo componimento nel Regno di Dio. In una prospettiva poi che giunge alle radici stesse della realtà, si deve dire che l’essenza e i compiti della famiglia sono ultimamente definiti dall’amore. Per questo la famiglia riceve la missione di custodire, rivelare e comunicare l’amore, quale riflesso vivo e reale partecipazione dell’amore di Dio per l’umanità e dell’amore di Cristo Signore per la Chiesa sua sposa. Ogni compito particolare della famiglia è l’espressione e l’attuazione concreta di tale missione fondamentale. È necessario pertanto penetrare più a fondo nella singolare ricchezza della missione della famiglia e scandagliarne i molteplici ed unitari contenuti. In tal senso, partendo dall’amore e in costante riferimento ad esso, si possono mettere in luce quattro compiti generali della famiglia: la formazione di una comunità di persone; il servizio alla vita; la partecipazione allo sviluppo della società; la partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa.

 

2. Sfide e cambiamenti

 

La famiglia, inserita in una rete sociale, deve confrontarsi con questi cambiamenti epocali:

 

a) Nuzialità e démariage. Da una recente ricerca sui giovani (2008) appare che famiglia e amore sono decisamente al vertice della scala valoriale giovanile, ma ciò non comporta una reale ricaduta matrimonial-familiare; così si configura come la società del démariage in cui il matrimonio non è più la scelta tipica dell’età adulta, ma solo una possibile scelta di vita. Si riscontra una forte resistenza a instaurare relazioni stabili, sancite o meno da vincolo matrimoniale. Per molti di coloro che hanno superato i trent’anni, sposarsi, come del resto convivere, appare una decisione difficile e troppo impegnativa, troppo prematura per gli oneri e le rinunce che comporta: in termini di libertà individuale, di opportunità di soddisfare i propri interessi e di perseguire prospettive di realizzazione personale”. Rimane da chiedersi se, come succede in diversi Paesi, specie nordeuropei, la denuzialità non rispecchi l’aumento delle convivenze more uxorio e dei giovani che vivono soli. Le convivenze sono ormai assai diffuse: sono, dice l’Istat, tre milioni gli italiani che le hanno sperimentate, il 6% della popolazione con più di 15 anni. Tuttavia, il più delle volte, a differenza del Nord Europa, sono semplicemente l’anticamera del matrimonio. Al Centro-Nord del Paese sono ormai quasi un quinto i matrimoni preceduti da queste “prove tecniche di coniugio”.

 

b) Denatalità tra famiglia e demografia. l’Italia è un Paese-laboratorio dal punto di vista della natalità, che denota un’insicurezza e una relativizzazione profonda della genitorialità. Questa denatalità è in aumento in tutt’Europa.

 

c) Instabilità coniugale. C’è un impetuoso incremento del numero di separazioni e divorzi. E se la durata media del matrimonio – in caso di separazione – è di 13 anni, il picco delle separazioni è al quarto anno di matrimonio. Occorre tener conto di tre variabili: la trasmissione “ereditaria” dell’instabilità coniugale, dato che i figli di divorziati tendono a divorziare di più; la sempre minore tenuta offerta dai valori etico-religiosi circa l’indissolubilità del matrimonio cristiano; il lavoro femminile. Sullo sfondo di questi elementi pesa anche la cultura iperromantica attuale (l’amore e la felicità come motori potenti e fragili del rapporto), la quale sottovaluta il fatto che il matrimonio va faticosamente costruito nella quotidianità limando l’eccesso di aspettative e di idealizzazioni spesso immature. Per quanto riguarda le conseguenze di una società “divorzista”, da tempo (soprattutto negli Stati Uniti, Paese dove le rotture toccano la metà dei matrimoni) si riflette sui costi rilevanti che ne derivano: costi psichici per gli ex coniugi, costi economici per la parte debole (di solito la donna), costi psicoevolutivi per i figli, che vivono la difficoltà di avere per genitori una coppia che smonta (o distrugge) un progetto d’amore[4].

 

d) Verso nuovi modelli di famiglia. È il fenomeno della pluralizzazione delle forme familiari, in cui cioè non vi è più un modello unico di famiglia, ma più modelli, fino al punto di arrivare a innumerevoli modalità di vita comune, in funzione delle preferenze e dei progetti dei partner. Insomma, tante famiglie “al plurale”, come dicono i francesi, o “di scelta”, come invece dicono gli inglesi. Per l’Italia, c’è chi ha cominciato a presentare e a qualificare queste “nuove famiglie”, certamente eccentriche rispetto al modello familiare “classico”: le famiglie di fatto, quelle monogenitoriali, le famiglie ricostituite e quelle unipersonali. Se ne ricava l’immagine di una famiglia dalla trama porosa, fragile e bisognosa di un surplus di mediazioni per fronteggiare una notevole complessità strutturale: ad esempio, non tutti i membri vivono sempre sotto lo stesso tetto, non tutti i figli sono consanguinei, non tutti hanno lo stesso cognome e non tutti hanno nella stessa casa chi esercita la potestà su di loro e chi deve mantenerli. A ciò si aggiunga che, curiosamente, queste seconde unioni sono più fragili delle prime: negli Stati Uniti il 60% dei remarriage finisce in un nuovo divorzio, e una delle ipotesi esplicative di questa paradossale tendenza sta proprio nella difficoltà di gestire relazioni complesse e prive di regole sedimentate.

 

e) L’aumento del numero dei single. La mobilità affettiva e la deistituzionalizzazione della famiglia favoriscono il fenomeno dei “single”, con “intervalli” biografici vissuti da soli. Ancora più nuovo è, però, il fenomeno – anche se minoritario e culturalmente “di nicchia” – delle donne che scelgono il nubilato e la vita autonoma: sono spesso donne di elevata istruzione, in carriera, residenti in aree urbane, con una propensione elevata alla libertà affettiva ed esistenziale, magari enfatizzata dalla crisi di relazioni precedenti.

 

 

3. Verso una politica familiare

 

Ci ricorda Giovanni Paolo II che «Il compito sociale della famiglia non può certo fermarsi all’opera procreativa ed educativa, anche se trova in essa la sua prima e insostituibile forma di espressione. Le famiglie, sia singole che associate, possono e devono pertanto dedicarsi a molteplici opere di servizio sociale, specialmente a vantaggio dei poveri, e comunque di tutte quelle persone e situazioni che l’organizzazione previdenziale e assistenziale delle pubbliche autorità non riesce a raggiungere. Il contributo sociale della famiglia ha una sua originalità, che domanda di essere meglio conosciuta e più decisamente favorita, soprattutto man mano che i figli crescono, coinvolgendo di fatto il più possibile tutti i membri (cf. Apostolicam Actuositatem, n. 11). In particolare è da rilevare l’importanza sempre più grande che nella nostra società assume l’ospitalità, in tutte le sue forme, dall’aprire la porta della propria casa e ancor più del proprio cuore alle richieste dei fratelli, all’impegno concreto di assicurare a ogni famiglia la sua casa, come ambiente naturale che la conserva e la fa crescere. Soprattutto la famiglia cristiana è chiamata ad ascoltare la raccomandazione dell’apostolo: “Siate… premurosi nell’ospitalità” (Rm 12,13), e quindi ad attuare, imitando l’esempio e condividendo la carità di Cristo, l’accoglienza del fratello bisognoso: “Chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca ad uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa” (Mt 10,42). Il compito sociale delle famiglie è chiamato ad esprimersi anche in forma di intervento politico: le famiglie, cioè, devono per prime adoperarsi affinché le leggi e le istituzioni dello Stato non solo non offendano, ma sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri della famiglia. In tal senso le famiglie devono crescere nella coscienza di essere “protagoniste” della cosiddetta “politica familiare” ed assumersi la responsabilità di trasformare la società: diversamente le famiglie saranno le prime vittime di quei mali, che si sono limitate ad osservare con indifferenza»[5].

Nonostante i rapidi e radicali cambiamenti che hanno inciso profondamente sulla famiglia negli ultimi quarant’anni, essa resta il punto di riferimento e la principale risorsa per la vita della società. Abbiamo assistito al passaggio dal modello patriarcale a quello nucleare, da quella autoritaria a quella permissiva-ancillare, dalla famiglia etica a quella affettiva, accompagnato dalla rapida riduzione del numero dei componenti di ciascun nucleo, alla trasformazione del ruolo e dell’immagine della donna, sempre più inserita da protagonista nel sistema lavorativo. Certamente, sono venuti grandi miglioramenti per l’emancipazione femminile, accompagnati, però, da ricadute problematiche per la donna stessa e per la vita familiare. Altri fattori di cambiamento sono ascrivibili alla crisi del ruolo paterno, alla permanenza prolungata dei figli in famiglia, all’innalzamento dell’età media del matrimonio, a una preoccupante disgregazione dei nuclei familiari segnalata dalle separazioni e dai divorzi. Sembrano ormai maturi i tempi perché la società riconosca la centralità della famiglia e sembrano esistere le condizioni affinché le famiglie assumano il ruolo che compete loro nella vita sociale. Si tratta di rafforzare notevolmente il loro ruolo sociale nelle forme che la democrazia e l’organizzazione dello Stato rendono possibili.

Certamente, continuano ad essere forti le pressioni di una “cultura pubblica”, ampiamente veicolata dai media, che presenta come nuovi modelli di famiglia le più varie e altre di convivenza, ma questa “cultura pubblica” ha una corrispondenza assai dubbia con la cultura reale degli Stati, ben radicata nei valori familiari. Infatti, la famiglia sta attraversando l’attuale travaglio confermando una sostanziale tenuta, anche se sono stati pagati prezzi alti in termini di valori di riferimento, di autocomprensione e di tutela sociale. Nel caso dell’Italia, poi, questo Paese deve molto alle sue famiglie, il sostanziale benessere di cui gode è stato costruito con impegno e creatività dalle famiglie che hanno saputo dedicarsi al lavoro senza trascurare la cura della vita domestica, inventando, in alcuni casi, anche un modello originale di integrazione tra sistema lavorativo e vita familiare. Si pensi al decisivo contributo della famiglia quale “ammortizzatore sociale” sia sul versante del lavoro magari precario, sia nella cura dei soggetti deboli (bambini, malati, anziani).

Per favorire un’autentica politica familiare è necessario che in ogni Paese siano tutelati e attuati i diritti della famiglia che, secondo il disegno di Dio, è cellula base della società, soggetto di diritti e doveri prima dello Stato e di qualunque altra comunità. Non si possono misconoscere i seguenti diritti della famiglia:

– di esistere e di progredire come famiglia, cioè il diritto di ogni uomo, specialmente anche se povero, a fondare una famiglia e ad avere i mezzi adeguati per sostenerla;

– di esercitare la propria responsabilità nell’ambito della trasmissione della vita e di educare i figli;

– dell’intimità della vita coniugale e familiare;

– della stabilità del vincolo e dell’istituto matrimoniale;

– di credere e di professare la propria fede, e di diffonderla;

– di educare i figli secondo le proprie tradizioni e valori religiosi e culturali, con gli strumenti, i mezzi e le istituzioni necessarie[6];

– di ottenere la sicurezza fisica, sociale, politica, economica, specialmente dei poveri e degli infermi;

– il diritto all’abitazione adatta a condurre convenientemente la vita familiare;

– di espressione e di rappresentanza davanti alle pubbliche autorità economiche, sociali e culturali e a quelle inferiori, sia direttamente sia attraverso associazioni di creare associazioni con altre famiglie e istituzioni, per svolgere in modo adatto e sollecito il proprio compito;

– di proteggere i minorenni mediante adeguate istituzioni e legislazioni da medicinali dannosi, dalla pornografia, dall’alcoolismo, ecc.;

– di un onesto svago che favorisca anche i valori della famiglia;

– il diritto degli anziani a una vita degna e a una morte dignitosa;

– il diritto di emigrare come famiglie per cercare una vita migliore.

 

La collaborazione tra comunità cristiana e famiglia è quanto mai necessaria nell’attuale contesto sociale, in cui l’istituto familiare è minacciato da più parti e si trova a far fronte a non poche difficoltà nella sua missione di educare alla fede. Il venir meno di stabili riferimenti culturali e la rapida trasformazione a cui è continuamente sottoposta la società, rendono davvero arduo l’impegno educativo. Perciò, è necessario che le comunità cristiane si adoperino sempre più nel sostenere le famiglie, piccole Chiese domestiche, nel loro compito di trasmissione della fede[7]. La famiglia cristiana deve anche portare la sua testimonianza di vita e la sua esplicita professione di fede ai diversi ambiti che la circondano, quali la scuola e le diverse associazioni, come pure impegnarsi nella formazione catechetica dei figli e nelle attività pastorali della sua comunità parrocchiale, soprattutto in quelle legate alla preparazione al matrimonio o specificatamente rivolte alla vita familiare.

«Per la sua funzione sociale fondamentale, la famiglia ha diritto a essere riconosciuta nella sua libertà e a non essere confusa con altre forme di convivenza, e anche a poter contare sulla dovuta tutela culturale, giuridica, economica, sociale, sanitaria e, in modo particolare, su un sostegno che, tenendo conto del numero dei figli e delle risorse economiche disponibili, sia sufficiente a permettere la libertà di educazione e di scelta della scuola. È necessario, pertanto, sviluppare una cultura e una politica della famiglia che vengano promosse in modo organizzato anche dalle famiglie stesse. Per questo vi incoraggio a unirvi alle associazioni che promuovono l’identità e i diritti della famiglia, secondo una visione antropologica coerente con il Vangelo, e invito tali associazioni a coordinarsi e a collaborare fra di loro affinché la loro attività sia più incisiva. Per concludere, vi esorto tutti ad avere grande fiducia, poiché la famiglia è nel cuore di Dio, Creatore e Salvatore. Lavorare per la famiglia significa lavorare per un futuro degno e luminoso dell’umanità e per l’edificazione del Regno di Dio»[8].

 


[1] Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Familiaris consortio (22-11-1981), n. 1.

[2] Cf. G. Campanini, Il cambiamento della famiglia e le sfide della cultura contemporanea, in Concilium 31 (4/1995) 64-71.

[3] Cf. Z. Bauman, Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, Roma-Bari 2006, 3-33.

[4] Il tessuto della società, minato dall’aver messo in discussione la famiglia fondata sul matrimonio va ricostruito proprio a partire dalla famiglia tradizionale. Benedetto XVI, in più occasioni, ha lanciato un allarme generale sull’ «assedio» subito dalla famiglia. Il divorzio, la convivenza e le famiglie allargate rovinano la vita di molti bambini, spesso privati dell’appoggio dei genitori, vittime del malessere e dell’abbandono: si sentono orfani non perché figli senza genitori, ma perché figli che ne hanno troppi. La Chiesa non può restare indifferente davanti alla separazione dei coniugi e ai divorzi, davanti alla rovina delle famiglie, e dalle conseguenze create nei figli dal divorzio. Questi, per essere istruiti ed educati, hanno bisogno di riferimenti estremamente precisi e concreti, di genitori determinati e certi che in modo diverso concorrano alla loro educazione. Ora, è proprio questo principio che la pratica del divorzio sta minando e compromettendo con la cosiddetta famiglia allargata e mobile, che moltiplica i padri e le madri. Questa situazione, come l’inevitabile interferenza e intreccio di relazioni, non può non generare conflitti e confusioni interne, contribuendo a crescere e imprimere nei figli una tipologie alterata di famiglia, assimilabile in qualche modo proprio alla convivenza, a causa della sua precarietà. Cf. Benedetto XVI, Discorso ai vescovi della Conferenza episcopale del Brasile in visita ad limina apostolorum (25-9-2009).

[5] Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Familiaris consortio (22-11-1981), n. 1.

 44.

[6] Sui diritti dell’infanzia, cf. il forum di E. Scognamiglio, I diritti dell’infanzia, in Asprenas 57 (2/2010) 109-116. Di rilievo l’articolo di V. Buonomo, A vent’anni dalla Convenzione sui diritti del fanciullo. Tra interpretazione e sviluppo progressivo, in Asprenas 57 (2/2010) 49-70.

[7] Cf. Benedetto XVI, Omelia (9-1-2011).

[8] Benedetto XVI, Messaggio in occasione del VI incontro mondiale delle famiglie a Città del Messico (17-1-2009), nn. 5-6.

1 Trackback / Pingback

  1. nathaniel

Lascia un commento