Le religioni e il cibo

Siamo quello che mangiamo, frase del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach (1804-1872), secondo il quale la cultura dipende anche dal cibo, è il tema di fondo del primo Forum interdisciplinare 2019/20 promosso dal Centro Studi Francescani per il Dialogo Interreligioso e le Culture (Maddaloni – Caserta), rivolto a tutta la cittadinanza, in particolare ai giovani e ai soci del Centro studi, che si articola – in questa prima fase –  in sei incontri da novembre a gennaio. Il Forum si propone l’approfondimento del problema di forte attualità del nostro rapporto con il cibo: “‘Dimmi come mangi e ti dirò chi sei’: questo detto popolare afferma in modo semplice ed efficace che il modo di rapportarci al cibo manifesta, concretamente, la nostra personalità. Il cibo, da sempre, in ogni cultura, tradizione popolare e religiosa è rivelazione della nostra umanità, di uno stile di vita ben determinato. Da sempre, lo stare a tavola è segno di relazione, di comunione, di amicizia, di festa, di condivisione”.

Con il tema Il cibo nelle religioni: una lettura interculturale, sabato 9 novembre alle ore 17,00, è partito il primo incontro del Forum, tenuto dal Direttore del Centro Studi, il teologo don Edoardo Scognamiglio, docente stabile della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale sezione San Tommaso d’Aquino. L’incontro si è svolto in via San Francesco n. 117 (Maddaloni), attuale sede del Centro Studi. E. Scognamiglio ha tratteggiato, in modo lineare ed efficace, il rapporto dell’ebraismo, cristianesimo, Islam, induismo, buddhismo, fede Baha’i, con il cibo, rapporto che viene declinato in una serie di norme, prescrittive e proibitive, a seconda della teologia e spiritualità di ciascuna religione.

Per l’ebraismo – ha evidenziato il relatore – i precetti che riguardano il cibo rientrano nella Kasherut, che è basata sulla Torah; la parola Kasher (o Kosher) vuol dire ‘idoneo’ e il termine riguarda generalmente il cibo, ma si riferisce anche a qualunque cosa adatta al suo uso. Secondo il Levitico essere santi come l’Altissimo, significa distinguersi dagli altri nel comportamento: “L’uomo ha il dovere di distinguersi dagli animali e l’alimentazione è una delle cose che ci rende simili a loro, per cui dobbiamo mangiare secondo alcuni precetti e in questo il popolo ebraico deve rappresentare un esempio per gli altri”. Secondo la Kasherut,  carne e latticini non possono essere consumati nello stesso pasto, né cucinati o lavorati insieme; carne e pesce possono essere consumati nello stesso pasto, ma prima di passare dall’uno all’altro bisogna sciacquarsi la bocca con un po’ di vino. Per cucinare cibo Kasher non si possono usare utensili utilizzati per cibo non Kasher. Secondo la Kasherut, gli ebrei osservanti possono mangiare gli animali ruminanti che hanno lo zoccolo spaccato in due parti. La mucca, il vitello, la pecora, la capra sono ammessi; il coniglio, il maiale, il cammello, il cavallo sono vietati, così come i rettili e gli insetti. Si possono consumare  i volatili da cortile, come le galline; sono, invece, vietati i rapaci. Sono kasher i pesci che hanno sia pinne che squame; sono vietati l’anguilla, i frutti di mare, il caviale, i pesci gatto, la coda di rospo e altri ancora. Gli animali destinati al consumo devono essere macellati secondo il rituale ebraico shechitah, che prevede il taglio della gola dell’animale così da ottenere una morte rapida dell’animale e il completo dissanguamento. Dopo l’uccisione, l’animale deve essere attentamente esaminato per verificare che sia sano e non abbia difetti, che lo renderebbero impuro. Per completare la casherazione, che toglie ogni traccia di sangue, la carne viene ripetutamente messa in ammollo per almeno mezz’ora e poi coperta di sale e lavata accuratamente. E’ vietato consumare le carni (anche l’uovo) con il sangue (o meglio i sangui in ebraico) perché esso rappresenta l’anima. Sono Taref (non adatti) i formaggi prodotti con caglio animale ma anche le cotture nel burro. Il vino non è proibito, ma solo se preparato secondo i metodi kasher.

Anche l’Islam proibisce la consumazione di alcuni cibi (cibo proibito, haram in arabo). E’ vietata la consumazione – ha sottolineato don E. Scognamiglio – della carne di  maiale (e di cinghiale), per motivi anche storiche e igienico-sanitarie: il maiale è un animale onnivoro che si nutre anche di carcasse e cibi ormai guasti e quindi possibile foriero di malattie. Per motivi simili sono vietati anche gli animali carnivori (leone, tigre ma anche gatto, cane, scimmia) e gli uccelli predatori, così come i rettili e gli insetti, invece, perché privi di sangue o a sangue freddo (ma le locuste sono lecite). La carne equina non è proibita ma sconsigliata, per una forma di rispetto verso l’animale; unica eccezione per l’asino addomesticato, che è vietato perché considerato una risorsa per la comunità. In generale, però, la carne può essere consumata solo se macellata secondo il rituale islamico (simile a quello ebraico): l’animale non deve subire violenze e deve essere sgozzato vivo fino al totale dissanguamento; poi si devono scartare interiora, midollo, pupille e organi genitali. L’altro grande divieto islamico sono gli alcolici, definiti opera di Satana dal Corano poiché, insieme alle droghe, danneggiano la salute e ottenebrano la ragione: non solo vino, ma qualsiasi distillato o bevanda che contenga alcol, frutto di qualsiasi tipo di elemento vegetale (uva, dattero, fico ma anche grano, orzo, mais, riso). Completamente Ḥalāl (leciti) sono tutte le piante e i frutti della terra. Anche sui prodotti del mare ci sono limitazioni: sì ai pesci dotati di squame e no a balene, squali e anguille o ai prodotti ittici con guscio (crostacei e molluschi).

Cristianesimo. I primi cristiani (giudeocristiani) rispettarono in parte i divieti giudaici, come quello di non mangiare le carni degli animali sacrificati agli idoli, di non toccare il sangue e di non mangiare il cavallo. Ma poi tali precetti si persero, seguendo l’insegnamento di Gesù, che ha segnato il superamento di tali norme: “Non quello che entra dalla bocca rende impuro l’uomo, ma quello che ne esce” ( Mt 15, 11), ha sottolineato il relatore. Per i cristiani è prescritta – per gli adulti in buone condizioni di salute – la non consumazione della carne e degli insaccati nei venerdì di Quaresima (che può essere sostituita da altra opera penitenziale, come leggere la Bibbia, la pratica della Via Crucis, prendersi cura di un ammalato o di un povero) e il digiuno il Mercoledì delle Ceneri e il Venerdì Santo, oltre al richiamo alla sobrietà per venire incontro alle necessità dei più poveri. Il convito fraterno, non solo in famiglia, come per la Bibbia, è espressione di comunione, amicizia, della gioia della festa per i doni ricevuti dal Signore e per le meraviglie salvifiche che ha compiuto e continua a realizzare per noi.

L’Induismo ritiene che ogni forma di vita sia sacra e, oltre al divieto di uccidere l’animale sacro per eccellenza (la mucca, considerata fondamentale per la vita contadina), prevede il vegetarianesimo. Secondo la forma più ortodossa si possono consumare solo i latticini e non sempre le uova; in alcune aree geografiche ci possono essere deroghe per carni ovine, pollo e pesce. Altra proibizione, che vale però per i bramini ma non è tassativa per gli altri fedeli, è il consumo di alcolici. Per l’induismo assume grande importanza – ha evidenziato il teologo Scognamiglio – il digiuno, parola sanskrita, upvas, che significa sedere vicino (a Dio). Esso esprime il rapporto armonioso tra il corpo e l’anima. E’ previsto il digiuno l’undicesimo giorno dopo la luna calante e l’undicesimo giorno dopo la luna crescente. Spesso si digiuna anche alla vigilia di alcune ricorrenze sacre; si può digiunare volontariamente per adempiere un voto sacro. Assumono grande importanza anche l’offerta di cibo (puja) alle divinità.

Il Buddhismo segue l’insegnamento del Buddha (Illuminato)  che non ha mai vietato espressamente la carne, ma il non consumarla è conforme al precetto di rispettare ogni forma di vita, affinché nel mondo ci siano meno uccisioni possibili. Quindi il vegetarianesimo è una pratica positiva, comunque non da ritenersi tassativa;  un monaco buddista, infatti, di norma vegetariano per scelta, non può comunque rifiutare un piatto di carne che gli viene offerto perché l’accoglienza della generosità altrui è più importante di qualsiasi regola alimentare.

Per i Baha’i non ci sono regole alimentari particolari; per ogni Baha’i in buona salute e di età compresa tra i 15 e i 70 anni, è prescritto il digiuno di diciannove giorni. Questo digiuno, il cui scopo è rafforzare l’anima e avvicinare le persone a Dio, deve essere effettuato nel periodo che va dal 2 marzo al 20 marzo di ogni anno per l’inizio del nuovo anno, come ha sottolineato Bezhad Mirzaagha (della comunità Baha’i di Maddaloni) che ha partecipato al Forum. In questo periodo i Baha’i devono astenersi dal cibo e dalle bevande dall’alba al tramonto. Sono esentate dal digiuno le persone che sono in viaggio, gli ammalati, chi svolge lavori gravosi, le donne incinte o che allattano, le donne durante il ciclo mestruale. Il digiuno è un obbligo spirituale individuale che, tuttavia, non deve essere imposto. Ai Baha’i è proibita l’assunzione di sostanze alcoliche e di droghe, a meno che non vi sia una prescrizione medica, poiché Dio ha dato agli esseri umani la ragione, che  non deve essere alterata o limitata da sostanze non medicali. L’uso, non medico, dell’oppio e di altre droghe è particolarmente condannato; è anche vietato lavorare nelle attività connesse con l’alcool, non a scopi medici, o con il traffico di droga. Fumare il tabacco non è proibito ma viene sconsigliato.

Il relatore ha accennato anche ad alcuni piatti tipici delle varie religioni, come il riso con la papaya per l’induismo, fornendo anche la ricetta di alcune di queste pietanze, come il dolce a base di miele e ricotta per la festa ebraica dei Purim. Durante il dibattito è stato puntualizzato il significato del digiuno per i cristiani; come ha affermato don Edoardo, esso ha un significato simbolico, rimanda ad altro, alla Comunione con il Signore, alla precarietà del pellegrinaggio della Chiesa nell’attesa della venuta finale dello Sposo (parusìa).

La serata formativa, di respiro interreligioso e interculturale, a cui c’è stata un’attenta e nutrita partecipazione, costituisce un momento importante del percorso del Centro studi, poiché si può fare dialogo solo se si coltiva anche l’approfondimento sistematico. Il percorso continuerà, sempre di sabato pomeriggio, anche nelle settimane seguenti, per sviluppare altri argomenti emergenti relativi al cibo, alla salute e al benessere integrale della persona.

di Lucia Antinucci

 

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