LA CONOSCENZA CHE SALVA

Nella disputa del tempo presente

La gnosi non designa solo un complesso di movimenti religiosi ereticali, confinato nei primi secoli del cristianesimo, ma anche una tendenza a interpretare il sacro e il mondo che metamorfizza in forme nuove e diverse, e non solo nelle religioni. La possiamo assimilare ad un fiume carsico scorrente sotto tutto il corso della tradizione ebraica e cristiana e riemergente nel moderno. 

Essa comprende un plesso di grandi tesi.  

La prima è che «il mondo, e l’uomo nel mondo, sono il frutto di una caduta, di una frattura», come scrive E. Samek Lodovici.

La seconda è che esiste qualcuno, lo gnostico, che quella frattura è in grado di colmare con opportune tecniche sapienziali. Cosicché ciò che conta, alla fine  non è “la creazione creata”, perché è l’uomo che deve produrre la vera creazione, ricreando il mondo, trasformandolo incessantemente e freneticamente, rincorrendo un progresso infaticabile ed inarrestabile (lo si vede in particolare nelle metamorfosi moderne della gnosi).

Ma, così configurata, la gnosi esclude la grazia e l’attesa, annacquando il vino della fede con l’acqua della conoscenza, disincarnandola e riducendola a pura idea, laddove per la fede «è invece esigenza costitutiva proprio il realismo dell’accadimento», come scrive J. Ratzinger. Ne consegue che il dio gnostico è un dio al di là del mondo e del tempo, che non interviene. Ma «un Dio che non può intervenire nella storia e mostrarsi in essa non è il Dio della Bibbia».

Gnosi e fede sono quindi contrapposte e inconciliabili. La contrapposizione riguarda la prima era cristiana, ma anche la modernità, nella misura in cui i moderni movimenti di liberazione di massa presentano un’analoga pretesa di autoliberazione. É un’alternativa secca che configura due differenti modelli teologici con fondamentali ricadute sul piano antropologico, in quanto la rinuncia alla creazione fa sentire i suoi effetti «nel fatto di rifiutare il mistero della sofferenza, della rappresentanza vicaria, dell’amore, in favore di un dominio del mondo e della vita per mezzo della conoscenza» (Ratzinger).

Ora, al divino inteso come impassibile ed egoisticamente contratto in sé in una statica perfezione si contrappone la stoltezza della croce. Essa ha un senso: Gesù Cristo è morto per amore ed è l’amore la via che porta alla salvezza. Tuttavia, agli gnostici «l’amore appare per così dire come troppo insicuro perché si possa fondare su di esso la vita e il mondo» (Ratzinger). Si finirebbe per dipendere dal non calcolabile, dal non esigibile, «da ciò che uno non può fare da solo, ma che può appunto solo attendere e ricevere». Pertanto gli si preferisce il sapere che, per essere controllabile, pare sottratto all’imprevedibilità.

Nel segno della separatezza è anche la divaricazione che vi si determina fra ragione e fede e che si riformulerà in forme nuove con il razionalismo e, poi, con il configurarsi della ragione scientifica. In quel solco scavato, fra autolimitazione della ragione al solo verificabile con l’esperimento, dismissione del vissuto e perdita di sintesi e orientamento del sapere, si frapporrà infine il nichilismo, la cui essenza è “la storia nella quale” dell’amore “non ne è più nulla” (parafrasando Heidegger). 

Superare quelle limitazioni sembra piuttosto il compito di una ragione che, non più preclusa «alle grandi esperienze e convinzioni delle tradizioni religiose dell’umanità, specialmente quella della fede cristiana» (Ratzinger), si dischiuda in tutta la sua ampiezza e possibilità.

In tal modo la conoscenza, non rifiutando la grandezza della ragione, entra davvero “nella disputa del tempo presente”.

 

 

 

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