‘IL RAPPORTO CON I FRATELLI E I CUGINI’

Storia dell’ebraismo 3. Gli ebrei  dal VII secolo fino all’alto Medioevo

La svolta religiosa, culturale e politica, che ebbe inizio nell’Arabia nei primi decenni del VII secolo ha fortemente influito, fino ad oggi, sulla storia ebraica. Con il trasferimento di Maometto dalla Mecca a Yatrib (la futura Medina), avvenuto nel 622, segnando l’inizio ufficiale dell’era islamica, comportò l’innesto su un tessuto tribale la presenza di un’altra comunità (umma), costituita dall’insieme dei credenti in Allah e nel suo inviato Muhammad. Contemporaneamente all’egira si stipulò un patto tra la comunità islamica e la tribù ebraica dei banu’Auf, “in base alla quale ‘questi ultimi formano una sola comunità con i credenti, essi mantengono la loro fede e i musulmani la propria’ “ (P. STEFANI, Introduzione all’ebraismo, 38). Ci fu un forte influsso ebraico sulla comunità islamica; infatti, fino a 16-17 mesi dopo l’egira i musulmani pregavano rivolti a Gerusalemme. La rottura con determinate tribù ebraiche si determinò quando il santuario della Mecca, la Ka’ba, divenne il primo luogo di culto monoteistico. La tribù ebraica dei banu Nadir venne messa al bando; i loro fortilizi vennero assediati dai musulmani, che li sconfissero e ne confiscarono i beni, mentre la tribù dei banu Qurayza venne massacrata, le donne e i bambini venduti come schiavi. Secondo l’Islam, la ‘gente del Libro’ (ebrei e cristiani; Corano 2,135-140; 3,20-23) può vivere all’interno della casa dell’Islam mantenendo la propria religione, a patto però di riconoscere l’autorità musulmana da cui si riceve protezione (statuto dhimma). Secondo lo statuto di protezione, i protetti dovevano versare uno speciale tributo alle autorità islamiche, e venivano sottoposti a una serie di restrizioni, tra cui quella secondo cui un dhimmi non poteva avere giurisdizione su un musulmano. Successivamente ci furono anche altre forme di umiliazione, come il segno distintivo sull’abito; nonostante ciò, dal punto di vista pratico, ci fu alternanza tra intolleranza e tolleranza. Ci furono casi, ad esempio, di ministri cristiani ed ebrei, alcuni dei quali particolarmente celebri o autorevoli, come gli ebrei Chasdai ibn Shaprut (X secolo) o Samuel ibn Nagrela (X-XI secolo).   

Nell’epoca tardo antica e altomedievale va segnalata la presenza ebraica in Italia: in varie città del centro nord, a Roma e al sud (Puglia, Calabria, Sicilia, Napoletano). In Sicilia ci furono intensi scambi culturali tra ebrei, cristiani e musulmani. Comunità ebraiche erano presenti in altre zone europee, come la Francia e la Germania. “Singolari sono, per esempio, i rapporti intercorsi tra una famiglia di ebrei italiani, i Qalonymus e Carlo Magno. L’imperatore concesse, infatti, loro il titolo nobiliare con connessa, ampia giurisdizione su altri ebrei” (STEFANI, 41). Cessato lo statuto di cittadinanza del periodo romano, nell’alto Medioevo in occidente si passò al sistema della protezione. Verso l’820, infatti, alcuni limitati nuclei ebraici ottennero da Ludovico il Pio una specie di passaporto in cui, accanto ai regolamenti a tutela del beneficiario, venivano elencati anche una serie di doveri. Con questo sistema gli ebrei erano del tutto dipendenti dai loro protettori ed erano privi del diritto di cittadinanza.

Nella Spagna medievale ci fu un notevole confronto fra le tre religioni abramitiche, anche se non fu un caso unico. La presenza ebraica nella penisola iberica aveva subìto, dall’inizio del VII secolo, una legislazione fortemente repressiva con il dominio visigoto, per cui venne accolta favorevolmente la conquista araba. Essa portò alla creazione di un califfato occidentale sotto Abd al-Rachman II (X secolo), il cui collaboratore fu il medico e uomo politico ebreo Chasdai ibn Shaprut. Con l’arrivo dei tuareg nomadi (Almoravidi) e berberi montanari (Almohadi), tra l’XI e il XII secolo cessò l’epoca del modello islamico della tolleranza, e si ebbero varie violenze antiebraiche, per cui molti ebrei si rifugiarono nei regni cristiani. La più importante comunità ebraica, quella di Toledo, si insediò in area cristiana a partire dal 1085, e in quella città, specie nel corso del regno di Alfonso X il Savio (1221-1284), l’apporto civile e culturale degli ebrei raggiunse vette molto elevate, anche attraverso la mediazione degli arabi; tale epoca viene così definita l’età dell’oro della presenza ebraica in Spagna, dal punto di vista culturale. I sefarditi, in effetti, ereditarono l’egemonia culturale ebraica, prima appannaggio degli ebrei di Babilonia. Nella Spagna medievale troviamo eminenti filosofi, poeti, scienziati, studiosi. E’ da citare come esempio Shelomoh ibn Gabirol (ca. 1021-1069), conosciuto dai filosofi medievali latini con il nome di Avicebron e da loro ritenuto arabo. Sono da ricordare ancora Mosheh ben Maimon (Maimonide) (1138-1204), Mosheh ben Nachman (Nachmanide) (1194-1270), Mosheh ben Shem Tov de Leon (m. 1305), ritenuto dalla critica contemporanea autore della maggior parte del Sefer ha-Zohar (Libro dello splendore), il massimo testo cabalistico, tradizionalmente attribuito a Shimon ben Jochai (I-II secolo d.C.). Quando la penisola iberica divenne inospitale anche agli ebrei autorevoli essi dovettero abbandonarla. Maimonide, ad esempio, a causa dell’invasione degli Almohadi, dovette fuggire prima a Fez, poi in Palestina e infine al Cairo, dove divenne medico alla corte del Saladino.

Sotto i regni cristiani, dal punto di vista giuridico, gli ebrei erano considerati una proprietà legale del sovrano; facevano parte del ‘tesoro reale’, erano definiti ‘forzieri della corona’, anche perché le tasse gravavano su di loro in misura maggiore di quanto non facessero per i cristiani. La situazione non era tranquilla neppure per i grandi finanzieri ebrei, poiché alle fortune facevano spesso seguito la confisca di patrimoni. Le comunità ebraiche spagnole (in arabo aljamas) erano caratterizzate al loro interno da una forte differenziazione sociale, e avevano l’autonomia giudiziaria, di cui erano dotate sia in materia civile che criminale; nonostante l’incompatibilità con le normative talmudiche, potevano comminare le condanne a morte, la cui esecuzione era affidata alle autorità civili.

Il rapporto fra le tre religioni abramitiche, nell’epoca considerata,  è fortemente dialettico: a periodi di convivenza pacifica si sono alternati periodi di intolleranza e repressione nei confronti degli ebrei, e ciò, purtroppo, divenne una problematica caratteristica anche delle epoche successive.

di Lucia Antinucci

Shloshah Asar Ikkarim ovvero i “Tredici principi di fede” dell’ebraismo enunciati  da Maimonide. 

  1. Credo nell’esistenza del Creatore, che è perfetto in tutte le forme dell’esistenza ed è la Causa Primaria di tutto ciò che esiste
  2. Credo nell’impareggiabile e assoluta unità di D*o
  3. Credo nella incorporeità di D*o, nella Sua assenza di movimento, riposo o dimora
  4. Credo nell’eternità di D*o
  5. Credo nell’adorazione riservata solo a D*o
  6. Credo che D*o comunichi con l’uomo attraverso la profezia
  7. Credo nella supremazia della profezia di Mosè, nostro maestro
  8. Credo nell’origine divina della Torah
  9. Credo nella immutabilità della Torah
  10. Credo nell’onniscienza e provvidenza di D*o
  11. Credo nella divina ricompensa per i giusti e nella punizione per i malvagi
  12. Credo nella venuta del Messia e nell’era messianica
  13. Credo nella resurrezione dei morti

 Mosè Maimonide

Mosheh ben Shem Tov de Leon

 

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